La telefonata prevista per oggi fra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping è una precondizione fondamentale nel cercare una strada che possa portare all’apertura di un dialogo.
Eppur si muove. Nonostante un’altra giornata di mattanza sul terreno, la diplomazia prova a fare il suo lavoro e ieri ha raggiunto un obiettivo rilevante, con l’annuncio della telefonata prevista per oggi fra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping. È il frutto del vertice di inizio settimana a Roma, del lavoro – non lo definiremmo paziente, perché il tempo non lo consente, ma realista ed efficace – del Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan.
Abbiamo ormai perso il conto delle volte in cui ci siamo spesi per indicare Pechino come un attore indispensabile nella trattativa e nella costruzione, prima ancora di un vero negoziato, di quella pressione su Vladimir Putin che possa costringerlo ad ascoltare il barlume di razionalità che non può essere sparito del tutto dal Cremlino.
Quelle voci soffocate dal terrore di contraddire il capo, apparso palesemente fuori controllo l’altro ieri nelle sue disordinate e volgari invettive contro i nemici “interni“. Un sintomo di sbandamento psicologico allarmante.
Un dittatore è sempre pericoloso, un dittatore ossessionato dall’idea di avere i nemici fuori e dentro casa (come accade prima o poi a tutti gli autocrati) può diventare un incubo.
Ecco perché l’amministrazione USA e Joe Biden in persona hanno scelto la doppia strada di martellare pubblicamente lo Zar, definendolo mercoledì un “criminale di guerra” e ieri “un Dittatore assassino, un puro criminale”, cercando al contempo in tutti modi di coinvolgere la Cina.
Non dobbiamo aspettarci miracoli dalla telefonata di oggi pomeriggio, ora italiana, ma un contatto diretto fra Washington e Pechino è oggi una precondizione fondamentale nel cercare una strada. Perché, sono il presidente francese Macron e il presidente del Consiglio Draghi a dirlo, per ora Putin non vuole trattare. Consente i dialoghi, ma continua nella sua strategia criminale di assedio e messa alla fame delle città ucraine. Il dittatore di Mosca non è indifferente alle vittime civili, è peggio: le mette in conto e le cerca, per piegare il nemico e ottenere quei vantaggi per ora sempre sfuggiti, da spendere poi in un negoziato.
Questa non è solo un’interpretazione o un’analisi, è la fotografia della condotta della guerra ordinata da Putin, nei racconti di chi si trova sul terreno e che abbiamo raccolto in questi giorni. La fotografia di un disegno brutale, illegale e inumano.
Di Fulvio Giuliani
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