«Putin ha paura della verità».
Sono state queste le parole del dissidente russo Alexey Navalny dopo la condanna a nove anni di galera, decretata ieri dal tribunale di Lefortovo a Mosca, per appropriazione indebita e oltraggio alla corte. In realtà Navalny si trova già in prigione da più d’un anno, da quando ha scelto di tornare in Russia nonostante il tentativo di avvelenarlo.
La sua battaglia politica è nei fatti la testimonianza d’una opposizione al potere di Vladimir Putin e al tempo stesso una scommessa politica sulla previsione che lo zar al comando non durerà a lungo. Certo, si tratta di una scommessa senza rete, nonostante Navalny una rete di sostenitori in Russia l’abbia, magari difficile da misurare vista la censura sulla stampa libera e il dissenso.
In queste settimane di invasione russa dell’Ucraina lui e i suoi sostenitori hanno continuato a far sentire la loro voce, il che essendo Navalny in carcere conferma l’operatività di una struttura politica, al punto che i suoi messaggi continuano a uscire sui social. Messaggi come questo: «Nove anni. Ebbene, come dicevano i personaggi della mia serie tv preferita ‘The Wire’: “Fai solo due giorni. Questi sono il giorno in cui entri e il giorno in cui esci”».
La critica di Navalny a Putin e all’invasione è stata netta e rivendica «qualsiasi opposizione a questi criminali di guerra». Il che lo renderebbe – a seconda di come andranno le cose (e in Russia è sempre complicato prevederlo) – un possibile interlocutore per il dopo Putin. Al condizionale.
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