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Normalità

Dopo due anni di pandemia, sembra giungere un po’ di normalità. Il Paese dovrà obbligatoriamente riflettere sul proprio futuro, come ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di (ri)insediamento. Se non si lavora con un’idea precisa di futuro non ci sarà alcuna ‘normalità’ da riconquistare.
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Dopo due anni di pandemia, sembra giungere un po’ di normalità. Il Paese dovrà obbligatoriamente riflettere sul proprio futuro, come ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di (ri)insediamento. Se non si lavora con un’idea precisa di futuro non ci sarà alcuna ‘normalità’ da riconquistare.
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Dopo due anni di pandemia, sembra giungere un po’ di normalità. Il Paese dovrà obbligatoriamente riflettere sul proprio futuro, come ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di (ri)insediamento. Se non si lavora con un’idea precisa di futuro non ci sarà alcuna ‘normalità’ da riconquistare.
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Dopo due anni di pandemia, sembra giungere un po’ di normalità. Il Paese dovrà obbligatoriamente riflettere sul proprio futuro, come ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di (ri)insediamento. Se non si lavora con un’idea precisa di futuro non ci sarà alcuna ‘normalità’ da riconquistare.
La normalità è meravigliosa. Dopo due anni di pandemia, lutti e sofferenze e 24 mesi di esperienze impensabili, la normalità così appare, oltre che una straordinaria chimera. Fermiamoci un attimo a riflettere, però: cos’è questa ‘normalità’? Proviamo ad andare oltre i ristoranti, gli alberghi, le gite e le serate al cinema. Tutto favoloso, per carità, soprattutto quando ti viene a lungo negato, come riscoprire il valore dei piccoli-grandi piaceri quotidiani. Eppure sappiamo che appena rientreremo nella routine tutto ciò inevitabilmente perderà quel sapore speciale dei mesi senza la vita di sempre. Perché normalità è anche “dover fare i compiti a casa”, per rispolverare un modo di dire urticante che fu abusato nei confronti dell’Italia nel pieno della crisi del debito, ormai oltre dieci anni fa. Normalità significa dover (saper) programmare a medio termine. Così come le famiglie, terminata l’angoscia legata alla pandemia, torneranno a pensare ad acquisti e investimenti a lungo rinviati sotto la pressione del Coronavirus, così il Paese dovrà obbligatoriamente riflettere sul proprio futuro, ben oltre i confini ancora sfumati dell’emergenza. Lo ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di (ri)insediamento davanti ai Grandi elettori. Programmare significa prendere impegni e rispettarli, creando le condizioni per poterlo fare al meglio. Questo comporta riaprire i grandi capitoli che la pandemia ha fatto accantonare: aggredire il nostro mostruoso debito pubblico, svecchiare una macchina statale burocratica fino allo sfinimento, rivedere le regole del mercato del lavoro e renderle compatibili con la realtà, riformare la giustizia come invocato con accenni quasi ultimativi dal capo dello Stato davanti alle Camere riunite e riformare il fisco, perché non ci arrendiamo all’idea che resti intoccabile un sistema irrealistico, inefficiente e ingordo.

Tutti elementi che abbiamo più volte sviluppato in queste pagine e che costituiscono quello che qualcuno ha definito, con voluta forzatura, il “programma” del nuovo settennato di Mattarella.

A differenza di quanto fece il suo predecessore Giorgio Napolitano all’indomani della rielezione, il presidente della Repubblica non ha usato il bastone con il Parlamento e la politica. Questione di stili e approcci diversi, ma a ben vedere la sostanza è la stessa. Se non si lavora con una idea precisa di futuro, non ci sarà alcuna ‘normalità’ da riconquistare, se non l’effimera gioia di riprendere la vita di sempre. Non è di questo che vogliamo parlare, perché crediamo nelle possibilità che l’Italia ha fatto balenare nell’ultimo anno. Ai partiti terremotati dalla settimana del Quirinale non resta che guardarsi negli occhi e decidere cosa fare da grandi. Se la legge elettorale – per esempio – è un’urgenza irrinunciabile, si lavori cercando una soluzione credibile, funzionale agli interessi del Paese e quanto più condivisa possibile. Se non dovesse essere possibile, ci si risparmi almeno un balletto di mesi che interesserebbe soltanto i protagonisti. In questo malaugurato caso, peraltro, il risultato non potrebbe che essere gravemente insufficiente rispetto agli interessi di tutti noi. Per concludere, un elemento non deve essere mai dimenticato: il fattore tempo. Se da un lato speriamo con tutte le nostre forze di correre il più velocemente possibile verso la normalità, questa stessa accelerazione riduce la finestra temporale a disposizione della politica per fare il proprio mestiere. Prendere le decisioni giuste sotto pressione è da sempre la prerogativa dei grandi leader. Un severissimo banco di prova per chi solo pochi giorni fa si è esercitato in spericolate manovre che di ‘normale’ non avevano proprio nulla.   Di Fulvio Giuliani

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