Partito democratico, aspettando una strategia
Il Partito Democratico ha visto sgretolarsi nel voto segreto sul ddl Zan il tesoretto appena guadagnato grazie al trionfo amministrativo. Questione che incrocia la partita più importante della legislatura: l’elezione del nuovo capo dello Stato.

Partito democratico, aspettando una strategia
Il Partito Democratico ha visto sgretolarsi nel voto segreto sul ddl Zan il tesoretto appena guadagnato grazie al trionfo amministrativo. Questione che incrocia la partita più importante della legislatura: l’elezione del nuovo capo dello Stato.
Partito democratico, aspettando una strategia
Il Partito Democratico ha visto sgretolarsi nel voto segreto sul ddl Zan il tesoretto appena guadagnato grazie al trionfo amministrativo. Questione che incrocia la partita più importante della legislatura: l’elezione del nuovo capo dello Stato.
Dov’eravamo rimasti? Ah sì, ecco, come no. All’interrogativo che da tempo aleggia nei Palazzi: e allora il Pd? Fresco del trionfo amministrativo, il partito guidato da Enrico Letta ha visto sgretolarsi nel voto segreto sul ddl Zan il tesoretto appena guadagnato. Confermando che al momento i franchi tiratori si trovano più a loro agio da quella parte. Questione quanto mai urticante perché incrocia la partita più importante della legislatura: l’elezione del nuovo capo dello Stato. E tutto possono permettersi il Nazareno e il suo leader tranne che presentarsi all’appuntamento incerti e dilaniati dallo scontro tra le correnti.
Ecco, a proposito: ci sono ancora? Ovvio, solo che stanno cambiando pelle. Gli ex renziani, ad esempio, emigrano sotto le insegne di Letta, specialmente quelli che aspirano a una candidatura. Sono i più fedeli, i nuovi pretoriani: del resto le liste elettorali le fa il segretario, giusto? Gli altri, tipo Lotti, cercano collocazione: fuori dal Parlamento. Anche Base riformista, i dorotei 2.0 con indosso la cappa piddina, è cambiata. Pure lì la transumanza verso le sponde lettiane è in atto. Però le cose sono complicate dal fatto che molti giocano in proprio: Dario Franceschini con un occhio al Quirinale; Lorenzo Guerini fissando gli allarmi che ha messo vicino alla sua poltrona di ministro.
Vabbè, il solito gioco dei quattro cantoni. Ma la strategia di Letta, richiamato da Parigi da tutti col cappello in mano, qual è? Bella domanda.
Sì certo, i diritti: dallo ius soli alla Zan. Avari però di successi. I giovani, come no. Il voto ai sedicenni non è neppure arrivato a discussione, quello che equipara l’età per Senato e Camera è un contentino. Dunque non rimangono che due terreni per esercitare una leadership ancora poco strutturata: il Pnrr e il Quirinale. Sul primo, nessuno tocca palla tranne SuperMario Draghi. Sul secondo, Letta prega un giorno sì e l’altro pure che Mattarella alla fine ceda e rimanga al suo posto. Così il quadro politico si cristallizza e sono contenti tutti. Tuttavia i segnali che giungono dall’inquilino del Colle vanno in tutt’altra direzione. Diamine: e dunque che si fa, qual è il piano B? Sorpresa: al momento non esiste. «Del Quirinale se ne parlerà a gennaio», è la giaculatoria del Nazareno. Eppure gente esperta, come Luigi Zanda, spiega che siccome nessun schieramento è autosufficiente, bisognerà trovare una soluzione destra-sinistra. Bene, da quell’orecchio Letta non ci sente. Anzi, radicalizza i toni quasi fossimo già in campagna elettorale. Il che invece di sopire alimenta dubbi e sospetti. Soprattutto tra i suoi. Ma insomma: allora il Pd? Diciamo che naviga a vista. E scrive le cartoline di Buon Natale. Il resto, seguirà. Di Carlo FusiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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