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Mattarella bis

Più che il retroscena indigna il proscenio

La rielezione di Mattarella come Presidente della Repubblica è un sospiro di sollievo per l’intero Paese. Poteva andare molto peggio ma anche molto meglio però: le macerie sono tante e il futuro del Governo ancora più incerto.
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Più che il retroscena indigna il proscenio

La rielezione di Mattarella come Presidente della Repubblica è un sospiro di sollievo per l’intero Paese. Poteva andare molto peggio ma anche molto meglio però: le macerie sono tante e il futuro del Governo ancora più incerto.
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Più che il retroscena indigna il proscenio

La rielezione di Mattarella come Presidente della Repubblica è un sospiro di sollievo per l’intero Paese. Poteva andare molto peggio ma anche molto meglio però: le macerie sono tante e il futuro del Governo ancora più incerto.
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La rielezione di Mattarella come Presidente della Repubblica è un sospiro di sollievo per l’intero Paese. Poteva andare molto peggio ma anche molto meglio però: le macerie sono tante e il futuro del Governo ancora più incerto.
Andiamo subito al dunque. Il bis di Sergio Mattarella non sana bensì acuisce la crisi di sistema. Peggio del 2013 di Napolitano, è lo squadernamento di una classe politica che usa il belletto per coprire le rughe. Però è vero che per come si era messa – dalle acrobazie di Berlusconi all’inaudito arrivo al Quirinale del capo dei servizi di sicurezza – poteva andare molto peggio e perciò la riconferma del presidente attuale fa tirare a tutti, Draghi compreso, un sospiro di sollievo. Sergio Mattarella al Quirinale è una garanzia. Ha svolto il suo settennato in maniera impeccabile e continuerà su quella scia. “Uno come Mattarella” non c’è. Ne esiste uno solo, e da lui si ricomincia. Ottimo anche che Mario Draghi resti a Palazzo Chigi, testimone insostituibile della volontà dell’Italia di proseguire sulla strada delle riforme come indicata dal Recovery. Tuttavia sarebbe sbagliato coltivare illusioni. Anzi, addirittura pericoloso perché allontanerebbe da un corretto esame di realtà. Mattarella e Draghi restano al loro posto ma attorno hanno un panorama di macerie che sarà quasi impossibile sgombrare. Accettando il bis dopo aver sottolineato a più riprese – con tanto di foto di materassi per il trasloco e di scatoloni dei suoi collaboratori – di escludere un doppio mandato perché sgrammaticato costituzionalmente, il capo dello Stato si è dovuto piegare alla logica emergenziale di un sistema politico incapace di trovare una soluzione condivisa per il suo avvicendamento. Una scelta “per il bene del Paese” certamente, ma che iberna difficoltà e contraddizioni. E la ghiacciaia non è mai stata panacea dei mali. Le elezioni anticipate sono riposte nel baule degli incubi metabolizzati e il fine naturale della legislatura è garantito. Anche questo è un bene, a patto che siano mesi operativi e non di stallo dovuto alle intemperanze dei partiti: i prolegomeni ci sono tutti. Qualcosa del genere vale anche per Mario Draghi. Nel catino del Transatlantico in molti hanno giocato a ridimensionarlo in nome di una illogica e velleitaria voglia della politica di rintuzzare i ‘tecnici’ e alcuni, come Giuseppe Conte, perfino a umiliarlo cavalcando le umoralità di un MoVimento sempre più balcanizzato e abbacinato dal ritorno del gialloverde. Adesso un Draghi molto meno SuperMario dovrà governare ufficialmente ultra blindato nella ridotta di Palazzo Chigi ma in realtà esposto a tutti i venti di un anno preelettorale e a forte rischio logoramento. Ma le macerie più vistose riguardano i partiti e i loro leader, i quali tutti – chi più, chi meno – escono ulteriormente miniaturizzati dalla prova più delicata e impegnativa. Un dato su tutti: si è arrivati al bis di Mattarella a causa dell’approssimazione, della superficialità e della disinvoltura di candidature lanciate in aria come coriandoli e, una volta arrivate a terra, calpestate con noncuranza. Ma per quel bis hanno premuto i peones dei Grandi elettori, stanchi dei giri a vuoto di chi avrebbe dovuto dare indicazioni e sciorinare strategie e invece sfogliava la margherita delle impossibilità. È un altro ‘sottosopra’ che testimonia la suppurazione della crisi di sistema. I due schieramenti di centrodestra e centrosinistra sono andati in pezzi. Più di tutti il centrodestra, partito con il miraggio di Berlusconi presidente e finito con il Cav che prende platealmente le distanze dal duo avventurista Salvini-Meloni. Il paradosso è che pure i numeri uno di Lega e FdI si sono divaricati nell’ultimo miglio prima di ritrovarsi di fronte al Mattarella 2. Nel centrosinistra, Letta è rimasto immobile perché anche un minimo battito di ciglia avrebbe provocato uno sconquasso con l’alleato-coltello Conte. In politica si vince con l’iniziativa, non con il surplace: il capo del Nazareno rischia di pagarlo sulla sua pelle nei prossimi mesi. Il M5S è vicino al tracollo: basta aspettare. Oltre alle questioni di governabilità, quanto accaduto ripropone il tema centrale della legge elettorale. La voglia di proporzionale spira fortissima. La speranza è che la toppa non sia peggiore del buco.   di Carlo Fusi

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