Dopo le elezioni, si prendono i risultati di una votazione e si comincia a stabilire chi sia stato bravo a raccogliere consensi e quali sentimenti o paure abbia agitato per riuscirci. Come se la democrazia consistesse solo nel votare.
Nelle nostre case europee si fa fatica a capire quel che è successo. Si assiste alla guerra, se ne comprende il dramma, si capisce (non tutti) che ci riguarda, ma poi si torna alle abitudini di sempre. Il che vale anche per la politica, tanto più che nell’era delle propagande senza ideologie la si vive come arte d’interpretare e cavalcare quel che i sondaggi suggeriscono. Prima di arrivare a casa nostra, diamo una sbirciatina al pianerottolo dei francesi.
Si prendono i risultati di una votazione e si comincia a stabilire chi sia stato bravo a raccogliere consensi e quali sentimenti o paure abbia agitato per riuscirci. Si considera così poco rilevante risolvere questo o quel problema, ma tenere la contabilità dei consensi separata dalle proposte. Come se la democrazia consistesse solo nel votare. E invece quello è un inganno, un corrompimento demagogico della democrazia. Come è truffaldino affermare che il rispetto del pluralismo consista nel tenere tutte le opinioni sullo stesso piano. Tutte legittime. Falso. In campagna elettorale il presidente in carica, Macron, ha detto che si deve riformare il sistema pensionistico e lavorare di più. Una diversa opinione potrebbe consistere nel rispondergli: no, lavoriamo come ora, ma facciamo entrare più immigrati che lavorino per noi; oppure tassiamo di più i ricchi o i consumi che consideriamo voluttuari. E così via. Dove la diversa opinione consiste nel diverso modo di far quadrare i conti. Ma se dico che tutti hanno diritto ad andare in pensione quanto prima, che gli immigrati si deve fermarli tutti e giammai si deve mettere un solo euro in più di tasse, non sto esprimendo un’opinione: sto prendendo in giro chi mi ascolta.
La democrazia si corrompe se si fa credere che un governo, solo perché votato con queste premesse, poi abbia il potere di rispettarle. La sola conseguenza di quel tipo di voto – noi italiani potremmo ospitare un seminario internazionale – è il trasformismo. Mentre mi convince poco la definizione di “antisistema”. Chi si candida e poi accetta il risultato elettorale è nel sistema democratico. Una cosa diversa s’è recentemente vista negli Stati Uniti, quella sì antisistema. Ma fuori da quello, si è nel sistema. La questione che oggi si pone è diversa, e veniamo a casa nostra: con Putin che ha dichiarato guerra al nostro mondo e all’ordine internazionale non puoi governare in combutta con lui o rompendo la solidarietà atlantica, perché questo mette a rischio il Paese. Le Pen prova a camuffare il suo putinismo, perché lo sa. Orbán condanna l’invasione russa, perché lo capisce. Troppi chiacchierano senza rendersene conto.
Abbiamo già da tempo osservato che il centro destra non esiste. È una mera illusione sondaggistica. Ma l’apprezzabile posizione di Fratelli d’Italia – che sostiene Le Pen non li rappresenti – e l’entusiasmo lepenista della Lega non sono sfumature, bensì conclamata incompatibilità. Con i primi assai più governativi dei secondi, per giunta. Nel centro sinistra le incompatibilità riescono a trovarsi nello stesso partito, con taluni trasformatisi in atlantisti che manco il generale Patton e altri oscillanti fra il terzomondismo, il populismo di destra e quello di sinistra, tenuti assieme da un vaniloquio con aggettivazione tanto straripante quanto insignificante. Ergo: i due supposti poli si reggono a vicenda mostrandosi alternativi ma sono, al tempo stesso, inesistenti e alleati al governo.
Fra un anno si vota. Se ci arriviamo con questo schema sarà una presa in giro. La cui conseguenza, dopo il voto ingannevole, sarà un nuovo azzeramento di classe politica. In alternativa i partiti potrebbero rispettare i loro stessi impegni e mettere una pezza al sistema elettorale, la cui riforma avevano annunciato come sicura prima ancora del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari.
Ci sono due strade: puntare a una Repubblica realmente maggioritaria, il che richiede anche riforme costituzionali e, quindi, da subito potrebbe concretizzarsi in una legge che porti al voto per una RiCostituente; oppure tornare al proporzionale con la coda fra le gambe, talché ciascun gruppo risponda di sé e la si pianti con la buffonata delle false coalizioni. Qui proponemmo la prima. La seconda è meglio di niente. L’inerzia il modo migliore per dimostrarsi i peggiori, restando poli-ticanti.
di Davide Giacalone
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