“Se l’Europa non agisce secondo i suoi interessi potrebbe essere colpita”, minaccia Karaganov, politologo vicino a Putin. Come se lo stratega del dittatore possa suggerire al mondo libero cosa fare.
Guerra. Sgombriamo subito il campo da inutili equivoci: nelle parole usate da Sergey Karaganov, politologo vicino a Vladimir Putin, non c’è un delirio bensì del metodo. Il metodo di scegliere la guerra come una linea politica possibile.
Si tratta di una scelta incomprensibile al mondo libero ma catalogarla come follia sarebbe un imperdonabile errore per le sorti dell’Ucraina e di tutti i Paesi democratici. Sostiene Karaganov (il primo, nel 2019, a teorizzare l’invasione totale dell’Ucraina), a proposito di una escalation della guerra, che questa ogni giorno «diventa sempre più probabile» perché «gli americani e i loro partner Nato continuano a inviare armi all’Ucraina. Se va avanti così, degli obiettivi in Europa potrebbero essere colpiti o lo saranno per interrompere le linee di comunicazione». Non si tratta di un lapsus involontario ma di una strategia ragionata. Karaganov dice che potranno essere presi di mira obbiettivi in Europa e lo sottolinea dopo aver detto che la guerra in Ucraina era necessaria e che la Russia ha deciso «di colpire prima che la minaccia diventasse ancor più letale».Il teorico della “dottrina Putin” per la politica estera russa usa il termine “guerra” senza nessun timore ed è con questo termine che non solo l’Occidente ma tutto il mondo libero oggi deve misurarsi e fare i conti. Che l’attuale zar di Mosca cada per lo stallo militare dell’invasione in Ucraina a suo giudizio non è possibile perché i russi stanno combattendo una guerra contro l’Occidente e per quanti in Europa e nel mondo libero non lo avessero capito – siano essi commentatori, politici, intellettuali, opinione pubblica o gente comune – ci pensa lo stesso Karaganov a dar loro la sveglia: «Vinceremo noi perché i russi vincono sempre. Ma intanto perderemo molto. Perderemo persone. Perderemo risorse e diventeremo poveri, per ora. Ma siamo pronti a sacrificarci (…). E il caos potrebbe investire l’Europa, se l’Europa non agisce in base ai suoi interessi: quel che fa ora è suicida».Che sia uno stratega vicino a Putin a suggerire cosa sia meglio oggi per l’Europa fa venire i brividi e fa persino un po’ ridere, per l’arroganza dell’affermazione in sé. Chissenefrega, visto che di prepotenti sconfitti sono piene le vicende dell’umanità.
Ciò che conta davvero è che ieri, per un contrappasso che soltanto i momenti tragici della storia sanno condensare in sé – mentre le parole dell’ideologo di Putin rammentavano al mondo libero che siamo in guerra e suggerivano all’Europa cosa fare – la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen visitava l’Ucraina assieme a Josep Borrell, rappresentante della politica estera dell’Unione europea. Una visita simbolica, certamente, ma anche molto concreta dopo il viaggio a metà marzo in Ucraina dei leader di tre Paesi dell’Est Europa (tutti membri dell’Ue): Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia.In questa guerra l’Unione europea ha scelto chiaramente da che parte stare e adesso sul tavolo del presente, oltre alle sanzioni economiche imposte alla Russia e agli aiuti militari dati all’Ucraina per difendersi dall’aggressore, vi è il tema dell’ingresso di Kiev nell’Unione. Una decisione che non potrà essere procrastinata ancora a lungo e che richiede – come è stato ad esempio per il riarmo tedesco deciso da Berlino dopo l’invasione russa in Ucraina – soprattutto velocità. Un po’ di settimane, qualche mese. Non certo anni.
Siamo in guerra, parola dei russi, e in guerra rinviare non è mai cosa buona né giusta. Il mondo libero, non soltanto quello occidentale – come accennavamo poc’anzi – non ha rinviato la sua condanna dell’invasione e non ha tentennato nello schierarsi con gli invasi. E pure in questo, a guardar bene, c’è del metodo. Il metodo di stare dalla parte delle libertà degli ucraini. Che poi sono anche le nostre.di Massimiliano Lenzi
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