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Putin

Putin fa sul serio

Putin non si accontenta di accordi taciti né della diplomazia Ue: la Russia ha minacciato una possibile reazione militare in Venezuela e Cuba. E sappiamo tutti che Putin non è un uomo che ama scherzare.
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Putin fa sul serio

Putin non si accontenta di accordi taciti né della diplomazia Ue: la Russia ha minacciato una possibile reazione militare in Venezuela e Cuba. E sappiamo tutti che Putin non è un uomo che ama scherzare.
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Putin fa sul serio

Putin non si accontenta di accordi taciti né della diplomazia Ue: la Russia ha minacciato una possibile reazione militare in Venezuela e Cuba. E sappiamo tutti che Putin non è un uomo che ama scherzare.
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Putin non si accontenta di accordi taciti né della diplomazia Ue: la Russia ha minacciato una possibile reazione militare in Venezuela e Cuba. E sappiamo tutti che Putin non è un uomo che ama scherzare.
Putin fa sul serio. Il primo round di colloqui fra i russi, gli americani e la Nato non ha fatto registrare progressi significativi e i rappresentanti di Mosca hanno minacciato una possibile reazione militare in Venezuela e a Cuba. I russi hanno ritirato gli armamenti installati a Cuba sessant’anni anni fa, in cambio di una tacita rinuncia americana a intervenire nell’isola, evitando il rischio di una guerra nucleare, al tempo reale e imminente. Putin, in sostanza, afferma che gli americani hanno preso un simile impegno di non espandere la Nato nei territori ex-sovietici, dopo il crollo dell’Urss, non rispettato nei Paesi baltici, e che un possibile ingresso dell’Ucraina nella alleanza militare occidentale sarebbe inaccettabile. La Russia prospetta di reagire aprendo un confronto militare in America Latina, per far ben comprendere agli americani il vantaggio di concordare ‘sfere di influenza’. Nessuno in Occidente pensa di far entrare ora l’Ucraina nella Nato, ma Putin non si accontenta di ciò: vuole un trattato. Questa escalation, per il momento diplomatica, impone a mio parere all’amministrazione Biden di prestare maggiore attenzione alla situazione in Venezuela. Trump a suo tempo ha minacciato un intervento nel Paese, ma in sostanza si è limitato a rifiutare di riconoscere la legittimità del regime di Maduro, passando a considerare come rappresentante l’ex presidente dell’ultimo Parlamento liberamente eletto, Guaidó. Vari tentativi di giungere a un accordo politico interno per sbloccare l’impasse sono naufragati all’epoca di Trump, in sostanza su pressione americana, e sono ora nuovamente bloccati, questa volta non per responsabilità americana. L’Unione europea – inizialmente allineata in buona sostanza sulla posizione Usa – ora ‘pilateggia’ sulla questione, senza avere peraltro grande influenza. La recente minaccia geopolitica di Putin impone di tornare a considerare la questione: ora è necessario non solo un accordo per re-istituzionalizzare il conflitto politico interno in Venezuela, ma anche un’intesa per tenere i militari russi fuori dall’America Latina. Domenica scorsa c’è stato un evento significativo: il partito di Maduro ha perso le elezioni dello Stato di Barinas, patria di Hugo Chávez e feudo di famiglia. Non vi sono stati apparentemente gravi brogli, oltre al tradizionale clientelismo del regime, tanto è vero che il regime chavista ha perso. È un segnale, a mio parere, di disponibilità a una soluzione ‘democratica’ dello scontro politico. C’è la possibilità costituzionale di revocare quest’anno il mandato di Maduro. Il segnale va colto ed esteso alla sfera militare. Se gli americani non vogliono prendere in considerazione la possibilità di un intervento armato preventivo in Venezuela, conviene accordarsi localmente per tenere i russi, e i cubani, fuori da quella ‘zona di influenza’.   Di Ottavio Lavaggi

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