La sconfitta degli estremismi, in Italia così come negli Stati Uniti e in Germania.
Gli estremisti perdono. No, non è un commento ai risultati delle elezioni amministrative, che trovate qui accanto, scritto da Fulvio Giuliani. È un fatto che unisce diverse democrazie occidentali, che si è visto negli Stati uniti, in Germania e anche nei nostri Comuni: gli estremisti perdono.
Hanno avuto il loro momento di gloria, hanno alzato le vele al vento del rifiuto e le hanno gonfiate contro le vecchie classi dirigenti, ma è bastato che si vedesse la stoffa delle nuove per far passare la voglia. Il riflusso delle estreme, però, lascia scoperto il vuoto. La sconfitta degli estremisti non è la vittoria della concretezza e del pragmatismo ricco di contenuti, per ora è solo il rifiuto del rifiuto fine a sé stesso.
A destra hanno trovato rappresentanza sentimenti ripugnanti, tipo quelli dei suprematisti bianchi americani, così come hanno potuto sfilare bifolchi cornuti all’assalto delle Aule del diritto e della democrazia, ma sarebbe da ciechi credere che una vittoria presidenziale (era appena ieri) possa avere avuto solo queste basi.
Nel nuovo come nel vecchio mondo quel tipo di destra ha raccolto i consensi di chi ha votato contro un ceto dirigente che aveva preso le fattezze di ceto dominante, inamovibile, trasferibile per via familiare, un establishment il cui solo merito era quello d’essersi stabilito al potere senza idee distintive, con conformismo e, per ciò stesso, vissuto come sinistra. Se il popolano contrasto al potere e ai potenti era stato un tratto distintivo della sinistra, ora il proletariato urbano si ritrovava a destra, perché la sinistra era divenuta essa stessa il potere.
A sinistra hanno trovato rappresentanza sentimenti riprovevoli, che in nome di un presunto riequilibrio dei diritti e della cancellazione dei soprusi pretendono di riscrivere la storia negandola o di adottare quote razziali contro il razzismo. A quella violenta devastazione del pudore culturale s’è accompagnato il brodino ustionante del politicamente corretto, sicché neanche le parole possono più essere usate e si è arrivati a un passo dal considerare sessista l’uso del maschile e del femminile.
Anzi, si è fatto anche quel passo e qualche fesso prova a usare simboli che prescindano il genere. Ma sarebbe cieco supporre che quanti votano a sinistra, ribaltando vittorie della destra, si riconoscano in questa roba. Più semplicemente videro lo zotico avanzare e pensarono fosse bene fermarlo. È vero che in questo s’è mosso più il ceto medio che non la plebe, ma trattasi di un bene che la seconda sia in disuso e il primo sia divenuto generale.
I due estremismi adorano sostenersi a vicenda. Basta condannarne uno per sentirsi iscrivere fra le fila degli esaltati avversari.
Condanni il nazionalismo? Sei globalista svenditore delle meraviglie nazionali. Non pensi che si debba proibire di ricordare che i figli nascono da una femmina e un maschio? Sei un omofobo che incita alla violenza contro i deboli. Sono mattocchi soci in commedia. Gli elettori, però, in giro per le democrazie, non si sono limitati a togliere loro la prosopopea dei vincenti, hanno anche, sempre più numerosi, disertato le urne. Della serie: questi meglio fermarli, ma non è che il resto entusiasmi. Una cosa simile capita quando le classi dirigenti (che non sono solo i politici) perdono la capacità di trasmettere un’idea di futuro, mentre la collettività è posta a marinare in un presente abbastanza pasciuto da volere essere conservato. In un mare che resta vasto e incognito, i vascelli delle democrazie sono fermi nella bonaccia. Non rimpiangono i venti che strappano le vele, ma non ne trovano per muoversi. E se qualche refolo soffia lo si perde pure, perché non si sa dove andare. La storia sa essere severa assai con chi langue nelle sue confortevoli sacche, considerandole eterne. Non c’è motivo di tirarsi addosso quella severità, meglio accorgersi del vuoto e tornare alla realtà, senza miti e paura. Di Davide GiacaloneLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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