Era il 1950 quando il film “Il cammino della speranza” raccontava del disperato tentativo di un gruppo di minatori siciliani di espatriare e raggiungere la Francia. Verranno prima truffati da quella che doveva essere la loro guida, e solo dopo una bufera di neve le guardie francesi consentiranno loro il passaggio del confine, fingendo di non vederli. Una storia di oltre mezzo secolo fa ma che potrebbe benissimo essere ambientata oggi, nella nostra Europa. I protagonisti non sarebbero italiani, certo, e al posto di una guida ci sarebbero degli scafisti, ma il resto è storia anche di questi giorni. Sempre attuale e tornata prepotentemente alla ribalta con la crisi afghana.
Accade infatti che dodici Paesi (Danimarca, Estonia, Lituania, Lettonia, Austria, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Grecia e Cipro) abbiano chiesto alla Commissione e alla presidenza del Consiglio Ue di poter erigere barriere fisiche per arginare l’ingresso dei migranti. Nella loro lettera di quattro pagine si legge che sarebbero «un’efficace misura di protezione delle frontiere», nell’interesse di tutta l’Unione e visto che «la sorveglianza non impedisce gli ingressi clandestini».
Al di là del merito della proposta, l’idea sancisce la totale inesistenza di politiche comunitarie sui flussi migratori. Non ci sono idee concrete su come gestire l’emergenza e i Paesi vanno in ordine sparso. Anche con proposte come questa che rimanda a un’era, quella dei muri, che sembrava un triste retaggio del passato. E invece non è così.
di Gaia Bottoni
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