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Sfondamento

4mila richiedenti asilo ammassati nel freddo presso il villaggio di frontiera di Kuznica, più altri 15mila che vi stanno affluendo. Da Varsavia avvertono del rischio di una guerra vera. 
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Rinasce una sorta di Urss 2.0 e come un secolo fa esordisce con l’attaccare la Polonia come antemurale d’Europa. Ovviamente, questo assalto non ha più i modi di quando l’Armata Rossa fu fermata con il ‘miracolo della Vistola’ ed è anch’esso di tipo 2.0. «Attacco ibrido» di un «regime di gangster», denuncia la Ue riferendosi al modo in cui il regime di Lukashenko ha fatto incetta di disperati in tutto il Medio Oriente per poi proiettarli addosso alla Fortezza Europa, al posto dell’Armata a cavallo e delle Tachanka del 1919-21.

«C’è Putin dietro», avvertono a Varsavia, denunciando il «terrorismo di Stato». Se il governo di Minsk agita dunque il bastone dei richiedenti asilo, quello di Mosca integra la manovra con la carota del gas da offrire per far calare le bollette energetiche dei cittadini europei. Il tutto con estrema abilità, in un momento in cui da una parte il governo di Varsavia è ai ferri corti con Bruxelles per una sentenza che aveva dichiarato la superiorità della legge polacca sui trattati europei e dall’altra resta la questione del gasdotto Nord Stream 2 che consegnerà gas dalla Russia alla Germania bypassando l’Ucraina. Completato il 10 settembre, ma ancora in via di certificazione da parte della Ue. Angela Merkel, comunque, protesta con Putin, parlando di «disumana e inaccettabile strumentalizzazione dei migranti».

Da Varsavia avvertono del rischio di una guerra vera. Da una parte sono stati infatti schierati prima 12mila, poi 15mila soldati polacchi. Dall’altra 10mila bielorussi. In mezzo i 4mila richiedenti asilo ammassati nel freddo presso il villaggio di frontiera di Kuznica, più altri 15mila che vi stanno affluendo. «L’Iraq è stato distrutto dalla Polonia» ha detto lunedì in tv il direttore dell’Ufficio Informazione e Stampa del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, con goffo riferimento ai 194 soldati polacchi che nel 2003 contribuirono al contingente di 200mila uomini che abbattè Saddam Hussein. E il suo superiore Sergei Lavrov ha consigliato alla Ue che se non vuole ricevere quella massa di disperati potrebbe pagare Lukashenko, «come ha fatto con la Turchia».

Non è proprio la stessa cosa. In Turchia una massa di fuggiaschi è arrivata per conto proprio, perché l’Anatolia si trova geograficamente sulla loro rotta. La Bielorussia sta da tutt’altra parte, ma è almeno da giugno che il dittatore Lukashenko – in rappresaglia alle sanzioni ricevute dalla Ue – ha iniziato a raccogliere disperati in tutto il Medio Oriente. Sono ormai almeno 40 i voli a settimana da Damasco, Istanbul e Dubai. La gente è attirata con la promessa di essere portata in Europa e la prospettiva di pagare con comodo il passaggio «una volta sistemati». Per ampliare la capacità di accettazione, gli arrivi internazionali – prima concentrati a Minsk – sono stati smistati anche in cinque aeroporti regionali. I soldati bielorussi spingono poi i richiedenti asilo verso le barriere al confine. «Hanno sparato colpi in aria, simulando situazioni pericolose», denuncia  il portavoce dei servizi speciali polacchi Stanislaw Zaryn. «Sappiamo anche che le autorità della Bielorussia stanno aiutando i migranti a distruggere le barriere al confine. Li vediamo portare loro gli strumenti per tagliare i cavi, per distruggere la recinzione». Però, se provassero a tornare indietro, sparerebbero loro addosso. Ieri mattina due gruppi di migranti sono riusciti a sfondare il recinto della frontiera e ad attraversare il confine nell’area dei due villaggi di Krynki e Bialowieza. Cinquanta di loro sono stati arrestati.

Attenzione: l’escalation avviene dopo che il 4 novembre Lukashenko ha firmato il decreto con cui approva un programma di Unione tra Russia e Bielorussia che in pratica ricostruisce un embrione di Urss. E da ieri i confini bielorussi con la Ue hanno iniziato a venire pattugliati da bombardieri russi Tu-22M3, capaci di portare armi nucleari.

Non è quindi un mero problema umanitario il decidere di fare entrare o meno alcune migliaia di disperati.

di Maurizio Stefanini

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