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Scontri a Gerusalemme

Sgomberi e occupazioni, gli equilibri a Gerusalemme

Le tensioni dei giorni scorsi a Gerusalemme che hanno portato a scontri e sgomberi di edifici abusivi non sono mere questioni locali. Riguardano invece tutta la comunità internazionale.
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Sgomberi e occupazioni, gli equilibri a Gerusalemme

Le tensioni dei giorni scorsi a Gerusalemme che hanno portato a scontri e sgomberi di edifici abusivi non sono mere questioni locali. Riguardano invece tutta la comunità internazionale.
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Sgomberi e occupazioni, gli equilibri a Gerusalemme

Le tensioni dei giorni scorsi a Gerusalemme che hanno portato a scontri e sgomberi di edifici abusivi non sono mere questioni locali. Riguardano invece tutta la comunità internazionale.
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Le tensioni dei giorni scorsi a Gerusalemme che hanno portato a scontri e sgomberi di edifici abusivi non sono mere questioni locali. Riguardano invece tutta la comunità internazionale.
A Gerusalemme le tensioni sorte dopo l’avvio degli sfratti e delle demolizioni di abitazioni occupate da palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah hanno richiamato l’attenzione della comunità internazionale. Per il proposito di procedere agli sfratti lo scorso anno le proteste di Sheikh Jarrah si allargarono in altre zone di Gerusalemme, tra cui la moschea di al-Aqsa, giungendo alla violenta escalation del 10 maggio 2021. Hamas iniziò a lanciare razzi contro Gerusalemme e seguirono attacchi violenti da ambo le parti che sembrarono l’inizio di un nuovo conflitto arabo-israeliano. Dopo 11 giorni di raid missilistici e aerei, una tregua tra Hamas e Israele entrò in vigore soprattutto grazie alla mediazione dell’Egitto. Secondo le fonti della polizia israeliana, stavolta si è proceduto a un ordine di sgombero reso esecutivo dopo vari tentativi di rilascio consensuale. Lo sfratto riguarderebbe edifici ritenuti abusivi, costruiti su un terreno di Gerusalemme Est destinato a una scuola per bambini con disabilità. Nell’operazione sono state arrestate 18 persone, familiari e loro sostenitori, con l’accusa di «violazione di un ordine del tribunale, resistenza e disturbo dell’ordine pubblico». Il quotidiano “al-Araby al-Jadeed” ha riferito di una irruzione delle «forze di occupazione» cui sono seguiti scontri tra gli agenti israeliani e i palestinesi locali. Nei giorni precedenti i componenti della famiglia Salhiya si erano portati sul tetto dell’edificio con bombole di gas, minacciando di darvi fuoco. La questione non è una normale controversia civilistica perché in ballo c’è la particolare connotazione storica di Gerusalemme Est. Questa è considerata «territorio occupato» dalla risoluzione 242 delle Nazioni Unite ma è di fatto annessa da Israele dopo la guerra del 1967. Nell’area abitano circa 250mila palestinesi, che in particolare rivendicano una precisa identità arabo-palestinese del quartiere storico di Sheikh Jarrah, vicino alla Città Vecchia. La parte ebraica sostiene che i terreni e le case vennero perduti durante l’aggressione giordana a Israele del 1948, mentre le famiglie palestinesi rivendicano i loro diritti per precedenti insediamenti storici e per avere ricevuto legittimamente nel 1956, con un avvallo dell’Onu, le case dalle autorità giordane. A parte le rivendicazioni storiche e giuridiche di entrambe le parti, le criticità sono molto serie. Secondo gli analisti la questione di fondo è legata alle pretese dell’area radicale di Israele sul quartiere di Sheikh Jarrah per mantenere il controllo su quell’area di Gerusalemme Est, la parte più interessata alla cessione per un ipotetico Stato palestinese, ovvero in una nuova Gerusalemme a status speciale. Su questi aspetti forse occorrerebbe una riflessione dalla comunità internazionale, in particolare degli attori degli Accordi di Abramo, perché la questione potrà essere fonte di nuove escalation di violenze. La diplomazia e la politica dovrebbero supplire a una decisione che risulterebbe difficile anche per la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite o per un ipotetico Tribunale della Storia: il principio di un “diritto al ritorno” è un fondamento per lo Stato di Israele, specie dopo il dramma della Shoah, ma sarebbe difficile non riconoscerlo in assoluto anche per le comunità di etnia araba, per la storia di colonialismo e di regimi di occupazione che da sempre hanno vissuto.   di Maurizio Delli Santi  

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