L’attesa delle prossime trattative in Bielorussia e il possibile ruolo cinese che prende le distanze da Vladimir Putin.
Si dovrebbe riprendere a trattare fra poche ore, questa volta in territorio bielorusso. Già questo è una sostanziale differenza con il tentativo fallito due giorni fa a Gomel, a pochi chilometri dall’ucraina Chernobyl. Kiev ha accettato di mandare la propria delegazione in Bielorussia, non certamente un Paese neutrale e credibile come mediatore, considerato il diretto e indiscusso appoggio all’aggressione di Putin e la totale inconsistenza internazionale dello screditato dittatore Lukashenko.
Un segnale di disponibilità da parte del presidente Zelensky, che i russi farebbero bene a non confondere con debolezza, come ogni minuto ciò che resta dell’esercito ucraino e soprattutto i civili stanno dimostrando sul terreno. L’invasore avanza (ci mancherebbe pure, considerato lo spiegamento di forze che secondo fonti occidentali è arrivato alla metà di tutto ciò che ha disposizione l’uomo di Mosca dal punto di vista militare), hanno conquistato più o meno la prima città del sud, ma non riescono ad assestare colpi strategici a un Paese che sta mostrando un carattere è una tenacia commoventi.
Così, anche la Russia ha disperatamente bisogno di trattare, oltre le fanfaronate della propaganda e della classica ‘disinformatia’. Che sia stato messo sul tavolo ufficialmente ieri il “cessate il fuoco“ è un segnale forte e palese, altro è capire cosa chiederanno in cambio i delegati di Mosca a un nemico stremato, ma non vinto. Difficile che si arrivi a qualcosa, senza l’emergere di un mediatore vero, profondamente diverso dal cameriere di Putin. Su La ragione di oggi scrivo diffusamente del possibile ruolo cinese, che prende le distanze da Vladimir Putin e osserva il titanico confronto fra quest’ultimo è l’Occidente. Potrebbe farlo, ovviamente per puro interesse, ma per ora siamo alle ipotesi e alle speranze.
Nel frattempo, sul terreno si muore, un milione di persone è in fuga, la tattica dell’armata di Putin non guarda in faccia a nessuno e miete un numero insopportabile di vittime civili. Kiev parla di 2000, potrebbero essere molto di più.
Un orrore che non potrà essere dimenticato nel tribunale della storia e in quello concreto penale internazionale dell’Aja, che è già al lavoro.
Provino a ricordarselo i pusillanimi e gli ammiratori di Putin, sempre pronti a starnazzare se viene chiesto a un soprano di condannare la guerra per poter lavorare a casa nostra (non di rinnegare il proprio Paese, sia chiaro), ma incredibilmente bravi a voltarsi dall’altra parte davanti ai bambini martoriati e alle città sventrate.
di Fulvio Giuliani
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