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L’Europa alla ricerca della centralità

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Dalla politica estera ai rapporti commerciali, l’Europa affronta la sua sfida alla centralità. Eravamo compiaciuti di saperci costituire in Unione e dell’essere ambìti come area nella quale entrare. Ora non basta più

L’Europa alla ricerca della centralità

Dalla politica estera ai rapporti commerciali, l’Europa affronta la sua sfida alla centralità. Eravamo compiaciuti di saperci costituire in Unione e dell’essere ambìti come area nella quale entrare. Ora non basta più

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L’Europa alla ricerca della centralità

Dalla politica estera ai rapporti commerciali, l’Europa affronta la sua sfida alla centralità. Eravamo compiaciuti di saperci costituire in Unione e dell’essere ambìti come area nella quale entrare. Ora non basta più

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Dalla politica estera ai rapporti commerciali, l’Unione Europea affronta la sua sfida alla centralità. L’Ue nella quale viviamo è stata costruita con successo. Galleggiando nel mondo generato dal secondo dopoguerra e allargandosi trionfalmente in quello succeduto al benefico crollo dell’Unione Sovietica. Eravamo compiaciuti del fatto stesso di saperci costituire in Unione e dell’essere ambìti come area nella quale entrare. Ora non basta più.

Ciò non dipende da noi, ma dal brutale isolazionismo che ha ammaliato gli Usa. Un isolazionismo che dovrà fare marcia indietro – giacché non è consentito dare le dimissioni dalla storia – ma che per il solo fatto di essersi affermato in quelle forme ha spostato l’attenzione sull’Ue. Le tante critiche degli antieuropeisti hanno sempre lasciato il tempo che trovavano, il loro illogico reclamare l’Ue che non c’è, salvo volere demolire quella che c’è (da noi la destra voleva anche uscire dall’euro, mentre la sinistra non voleva entrarci), era propaganda sterile e, difatti, quando hanno avuto ruoli di governo facevano il contrario di quel che andavano dicendo. La sfida odierna non è contrastare loro, ma riempire lo spazio occidentale che gli Usa lasciano scoperto.

Il mondo della ricchezza e della libertà non è fatto di sopraffazioni e rotture, ma di diritto e cuciture. È in quel ruolo che possiamo essere calamita non soltanto per i capitali spaventati dall’aria che tira oltre Atlantico – fra i quali i nostri stessi risparmi, che esportiamo perché abbondanti e non interamente e convenientemente investibili solo dentro i confini europei – ma anche per intelligenze e ricerche, che sono il propellente dello sviluppo tecnologico e della crescita economica. E per potere navigare questo mare occorre essere una nave, non un insieme di gusci di noce.

Quindi ci serve il mercato unico dei capitali e ci servono campioni produttivi in scala continentale e non nazionale. Ci servono università d’eccellenza che attirino finanziamenti per la ricerca e ci serve un mercato in cui l’innovazione sia premiata. E siccome la potenza ha bisogno di essere difesa, ci serve la difesa comune. Cosa che ci è stata resa chiara dall’aggressività russa.

C’è il piano Draghi, certo. L’impressione è che molto personale politico non lo abbia neanche letto. Già tanto se ne ha scorso l’indice. Quel piano è colmo di forza culturale, ma è scarso di forza politica. Nelle democrazie non basta una buona idea, bisogna procurarle il consenso. Altrimenti finisce come il governo Draghi: un sarebbe potuto essere e non fu.

Avere un solido baricentro politico, in Ue, non significa averlo monocolore, men che meno di destra o di sinistra. Significa averlo consapevole e non mentitore verso l’opinione pubblica. La storia dei “dazi europei” indigna non soltanto perché ignorante, ma perché ideata per ingannare gli ignoranti. E gli inganni non costruiscono la forza, semmai provano a nascondere la debolezza.

Dal punto di vista difensivo la Germania e l’Italia sono nella stessa condizione storica: pensare di tenersi discosti dalle coraggiose iniziative del cancelliere Merz significa destinarsi alle retrovie. Dal punto di vista del debito, la Francia e l’Italia hanno moltissimi interessi in comune ed è demenziale vivere l’imminente visita del presidente Macron come se fosse una questione di rapporti personali, perché perdere quel legame significa relegarsi a spettatori stizziti e dispettosi.

Si possono inseguire le vibrazioni di protesta, facendo finta di non sapere che sono spinte dal nemico politico e militare di ieri e di oggi: Mosca. Ma se facevi il comunista non potevi governare profittevolmente un Paese occidentale, idem se fai il sovranista e rinunci al baricentro europeo per attaccarti al pendolo trumpiano.

L’Italia cresce se aggrappata alle Alpi e inserita in Ue, altrimenti galleggia alla deriva e si ritrova sulle rive infide del Mediterraneo africano. L’ora delle scelte è adesso ed è drammatico che non se ne parli con la chiarezza e l’onestà che il momento richiede.

Di Davide Giacalone

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