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Svicolare e distinguersi apparecchia il declino

Stabilire se uscire per compere con mille o duemila euro in tasca o guerreggiare se il Green Pass vada abolito l’1 o il 2 maggio dilania una maggioranza che ha perso coscienza di sé e dei suoi compiti.
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Svicolare e distinguersi apparecchia il declino

Stabilire se uscire per compere con mille o duemila euro in tasca o guerreggiare se il Green Pass vada abolito l’1 o il 2 maggio dilania una maggioranza che ha perso coscienza di sé e dei suoi compiti.
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Svicolare e distinguersi apparecchia il declino

Stabilire se uscire per compere con mille o duemila euro in tasca o guerreggiare se il Green Pass vada abolito l’1 o il 2 maggio dilania una maggioranza che ha perso coscienza di sé e dei suoi compiti.
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Stabilire se uscire per compere con mille o duemila euro in tasca o guerreggiare se il Green Pass vada abolito l’1 o il 2 maggio dilania una maggioranza che ha perso coscienza di sé e dei suoi compiti.
Morire per Danzica è l’interrogativo che dilaniò le coscienze nel 1939 e che i carri armati russi nel Donbass ripropongono con angoscia. Stabilire se uscire per compere con mille o duemila euro in tasca o guerreggiare se il Green Pass vada abolito il 1 o il 2 maggio dilania una maggioranza di sbrindellate grandi intese che ha perso coscienza di sé e dei suoi compiti. D’accordo, è vero: paragonare le due vicende può apparire a prima vista iperbolico e perfino sguaiato. Ma è proprio la sproporzione tra i drammi che il 2023 squaderna e la scarsissima consapevolezza che ammanta il dibattito politico italiano che provoca sbigottimento. Dimostra irresponsabilità e rischia di preparare il peggio. Le divaricazioni nella coalizione che supporta Mario Draghi appaiono poca cosa solo a chi rifiuta per strumentalità o per ingenuità – e non si sa cosa sia peggio – di vederne le conseguenze. Dopo la disfatta del Conte II i partiti maggiori accettarono di fare un passo indietro, accogliendo l’indicazione del capo dello Stato di affidare l’incarico di allestire un governo “fuori da ogni formula politica” all’ex presidente della Bce. La sfida per il Quirinale ha dissolto quell’idem sentire provocando un fall out perverso. Il risultato è che si procede a vista, senza più una strategia condivisa, affollandosi formalmente sotto l’ombrello dell’attuazione del Pnrr ma poi cercando ogni occasione per distinguersi. È così per il contante sul quale Salvini e Meloni ritrovano sintonia (e sull’Ucraina?); ed è così anche per il Pd che sull’Ilva fa valere ragioni di schieramento e interessi specifici. Che succederà quando arriveranno al pettine i nodi della giustizia, del Mes, della concorrenza, del fisco? E come sarà possibile scrivere una legge di bilancio, l’ultima della legislatura e presumibilmente anche l’ultima di Draghi a Palazzo Chigi, che tenga conto delle compatibilità dei conti pubblici e sia al riparo delle incursioni pre-elettorali dei partiti? Domande senza risposta, che diventano retoriche. Eppure al di là dell’indiscusso prestigio del presidente del Consiglio, la decisiva novità politica è stata proprio la costruzione di un piedistallo capace di amalgamare partiti lontanissimi tra loro. Uno sforzo unitario in nome del bene del Paese. Di quel miracolo politico sono rimaste solo le giaculatorie mormorate a beneficio dei media. Invece è uno slancio che andrebbe ripreso anche e soprattutto alla luce delle sfide che il contesto geopolitico propone. Il Pnrr è la Danzica italiana. Chi svicola, cercando pretesti di visibilità, apparecchia il declino.   Di Carlo Fusi

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