Il diritto di essere aiutati a morire, con la scelta di una commissione medica, ha uno specifico strumento-farmaco. Manca una legge sul fine vita, però. Una legge difficile quanto necessaria.
Si fa fatica a considerarla una ‘vittoria’. C’è poco di vincente, in tutta questa storia. Eppure è un significativo passo in avanti, sebbene quello più importante fosse già stato fatto quando la Corte costituzionale, sedici mesi fa, aveva riconosciuto il diritto a essere aiutati a morire, in determinate condizioni. Queste erano, ovviamente, tristi: invivibilità e non rimediabilità. E questa era la situazione di un cittadino italiano che aveva voluto spingersi fino a quel ricorso.
Ora è arrivato lo strumento, una commissione medica ha indicato il farmaco con cui farlo. Salvo sorprese, che sarebbero ulteriore tristezza, non resta che procedere. Sarà lui stesso, con il solo dito che muove, ad azionare l’infusione.
C’è voluto del tempo, fra sentenze, blocchi e rinvii. Un tempo in cui l’interessato ha ripetutamente ricordato il dolore di ogni ora in più. A noi, che abbiamo assistito e gli sopravviviamo, resta la speranza che questa penosa battaglia abbia contribuito a farlo sentire non soltanto inerte e dolorante su un letto.
Il lutto non dovrebbe farci dimenticare l’innesco: una decisione della Corte. Perché la legge sul fine vita, quindi una decisione del legislatore, manca ancora. Langue in Parlamento. È una legge difficile, sulla quale anche facciamo fatica a pensare a battaglie politiche, trionfali festeggiamenti o buie resistenze.
È difficile perché quella zona di confine è attraversata ogni giorno, ma nell’ombra. Eppure è una legge che va fatta. Anche per dimostrarsi in vita.
La Redazione
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Tag: politica
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