In tempi non sospetti ho più volte lodato Ghali per avere avuto il “coraggio“ di cantare una canzone dedicata all’Italia – quasi patriottica- e il sentirsi italiani, senza alcuna remora. Era ‘Cara Italia’, il pezzo scritto da un ragazzo cresciuto da noi e sospeso fra due culture, nel senso più bello e ricco del termine.
Ghali mi piace, lo considero l’artista più interessante, con Mahmood, della nuova generazione, ma non mi piace quello che Ghali ha fatto allo stadio domenica sera, insultando e cercando lo scontro verbale con Matteo Salvini al goal del pareggio rossonero nel derby. La politica non c’entra nulla, in questo caso l’antipatia o simpatia per il leader della Lega valgono zero: ciò che non mi piace, non capisco (o capisco troppo bene) è quella mossa a favore di immancabile smartphone.
Voleva far casino Ghali, su questo non c’è dubbio, voleva consumare una vendetta nei confronti di un uomo che detesta pubblicamente e già questo non è apprezzabile. Amo chi cerca sempre il dialogo e di portare gli altri razionalmente dalla propria parte, non chi esclude a priori questa possibilità.
In linea generale.
Nello specifico, lo spettacolo di un Vip che insulta un altro VIP, dandogli del razzista (il goal del ‘nero’ era in realtà un autogol di un ‘bianco’, amara ironia che stende tutti) è la testimonianza della macedonia impazzita in cui si è tramutato il nostro dibattito pubblico. Cervelli all’ammasso.
di Fulvio Giuliani
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