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Zanzando

Il ddl Zan non è passato perchè a nessuno interessava approfondirne il merito. Agitando il sessismo e il razzismo la sinistra prova a costruirsi una identità fatta di distinzioni per genere e razza, finendo con l’affermare quel che vorrebbe negare.
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Il ddl Zan non è passato perchè a nessuno interessava approfondirne il merito. Agitando il sessismo e il razzismo la sinistra prova a costruirsi una identità fatta di distinzioni per genere e razza, finendo con l’affermare quel che vorrebbe negare.
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Il ddl Zan non è passato perchè a nessuno interessava approfondirne il merito. Agitando il sessismo e il razzismo la sinistra prova a costruirsi una identità fatta di distinzioni per genere e razza, finendo con l’affermare quel che vorrebbe negare.
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Il ddl Zan non è passato perchè a nessuno interessava approfondirne il merito. Agitando il sessismo e il razzismo la sinistra prova a costruirsi una identità fatta di distinzioni per genere e razza, finendo con l’affermare quel che vorrebbe negare.
C’è una ragione per cui non si è mai entrati nel merito ed è che il merito importava poco. Forse niente. E mica solo ai politici che ne sostenevano accoratamente l’urgenza e l’essenzialità, salvo poi adottare una condotta che lo ha affossato, ma anche tanti giornalisti, che, altrimenti, non avremmo letto i titoli sui “diritti negati”. Quali, quale diritto sarebbe finalmente riconosciuto, nel disegno di legge Zan? Il merito non interessa neanche ai cittadini chattanti che si dicono affranti, quando non terrorizzati per l’esito infausto: ora un omosessuale può essere insultato, picchiato, massacrato. Ovviamente falso, ovviamente sono reati, già previsti non da decenni ma da secoli, e ovviamente non hanno letto il testo, altrimenti saprebbero che non son colà istituiti, quei reati.

Il merito non fregava niente a nessuno, neanche agli affossatori.

Se si fosse discusso nel merito – come qui facemmo, articolo per articolo – trovare l’accordo e approvare la legge sarebbe stata la cosa più semplice del mondo. Ma non era quello che si voleva. Cosa, allora? Questo è il punto. Ed è peggio di quel che si immagina. Non ho più ideologia, idee non me ne vengono, il benessere m’ha rintronato e lo vado millantando come fosse un diritto, eppure ho bisogno di una identità, che cerco in questioni, in temi capaci di evocare idealità di cui non sono capace. Così procede la politica del nostro tempo. E mica solo in Italia. Agitando il sessismo e il razzismo la sinistra prova a costruirsi una identità fatta di distinzioni per genere e razza, finendo con l’affermare quel che vorrebbe negare. Agitando le frontiere da chiudere e il legame fra terra e sangue la destra prova a vestire una identità che è il contrario dell’ordine e del mercato. Ciascuno non si preoccupa di manomettere il bagaglio culturale, il molto di prezioso che si trova nei bauli del passato, preferendo viaggiare con il trolley della propaganda: mi basta dire una cosa che sia identitaria e opposta all’identitarismo altrui.

Ecco perché del merito non fregava niente a nessuno.

In questa forsennata corsa verso il vuoto ideale e programmatico si arriva al punto di pretendere di condannare e combattere l’odio additando gli altri quali razzisti, omofobi, corruttori, tramatori nell’occulto, ergo incitando all’odio. E lo vedi non solo sullo schermo triste di una politica senza idee politiche, ma anche nelle chiacchiere quotidiane e in quella bettola sempre aperta che sono i social: non interessa capire quel che pensi, interessa sapere da che parte stai. E se anche parteggiando (come è ben lecito) provi a usare un linguaggio dialogante e provi a capire le ragioni altrui, verrai immediatamente bollato come venduto, voltagabbana, saltabeccante infame, perché il solo linguaggio che tanti capiscono è quello latrante, insultante. Ci dicono che quello sarebbe il linguaggio del popolo e si deve avere l’onestà e il coraggio di usarlo. No, quello è il linguaggio di esaltati e profittatori, venditori di identità tarocche. Tutti costoro campano di battaglie e contrapposizioni fasulle, totalmente disinteressati al merito.

Zanzando, comportandosi da zanza – ovvero da imbroglioni e truffatori (vocabolario Treccani) – non si va lontano. Anche perché quando il consenso si raccoglie zanzando si seleziona una classe dirigente d’incapaci arruffoni.

Provate a sottoporre loro un tema fuori dalle zanzerie in cui si specializzarono e poi ascoltate le risposte bendati, senza vederli: non sarete capaci di distinguere gli uni dagli altri, perché non sono distinguibili, perché non sanno quel che dicono e compitano elenchi di corporazioni o questioni da “mettere al centro della nostra azione”. Al centro, sul tavolo, come le “politiche attive del lavoro”, senza andare oltre. Che il lavoro resta uno sconosciuto. Fosse solo il ddl Zan, poco male. Mettere fuori gioco gli zanza è una delle condizioni per lasciarsi alle spalle il tanto tempo che s’è perso.   Di Davide Giacalone

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