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Chi si rallegra per la morte di Raisi, parla Tiziano Marino (CeSI)

Mentre l’Iran piange la morte di Raisi, il mondo s’interroga sul futuro della Repubblica Islamica e soprattutto sui suoi rapporti con i Paesi del Medio Oriente

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Mentre l’Iran piange la scomparsa del suo presidente, il mondo s’interroga sul futuro della Repubblica Islamica e soprattutto sui suoi rapporti con i Paesi del Medio Oriente: in primis Israele, da qualcuno ritenuto il principale sospettato. «Intanto è inverosimile che Tel Aviv abbia giocato un ruolo nella scomparsa di Ebrahim Raisi in quello che appare un incidente» osserva Tiziano Marino, analista del Centro Studi internazionali (CeSI) ed esperto di Iran. «Inoltre sia Raisi che il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, vittima anch’egli del disastro aereo, non erano le persone che determinavano la politica di sicurezza nazionale con il vicinato: a farlo sono la Guida suprema e i Guardiani della rivoluzione. È vero che Hossein Amir-Abdollahian si occupava di diplomazia, ma non era comunque considerato un falco o un personaggio che volesse uno scontro diretto con Israele».

Per Marino «quanto accaduto potrebbe piuttosto essere utilizzato dalla propaganda interna iraniana per via della componente azera interna all’Iran e dei rapporti tra l’Azerbaijan stesso (da cui tornava Raisi) e Israele. Le relazioni fra Teheran e Baku sono particolarmente complicate e si sono deteriorate quando l’Azerbaijan si è avvicinato a Israele, acquistandone alcuni armamenti risultati decisivi per la vittoria sull’Armenia nel 2020. Non dimentichiamo poi che c’è una componente di popolazione azera in Iran, specie negli apparati di sicurezza dello Stato, che crea preoccupazione a Teheran e che è considerata una longa manus di Tel Aviv, una presenza che qualcuno teme possa creare problemi di sicurezza interna allo Stato iraniano. In questo quadro e considerando il recente tentativo di riavvicinamento con Baku, è lecito attendersi teorie complottiste contro Israele». Per Marino a non cambiare saranno in ogni caso i rapporti con Cina e Russia: «A gestire i contatti con Mosca sono sempre stati i Guardiani della rivoluzione, quindi non si attendono cambiamenti. Il rapporto con la Cina rimane stabile e imprescindibile per un Paese come l’Iran, soggetto a sanzioni e che ha la necessità di attrarre investimenti. Specie con Pechino, quindi, ci si può attendere un’accelerazione degli scambi».

Il vero interrogativo è su cosa accadrà all’interno della Repubblica Islamica e su chi si rafforzerà (o indebolirà) a seguito della scomparsa di Raisi: «Il problema non è la sua successione alla presidenza della Repubblica, che sarà occupata da esponenti altrettanto conservatori, quanto la candidatura alla Guida suprema dopo Khamenei, oggi 87enne» chiarisce Marino. «Al momento rimane in corsa il figlio dell’ayatollah, ma si fa largo l’ipotesi di una guida collegiale: se così fosse assisteremmo a un’ulteriore accelerazione verso un Iran a guida militare. In quest’ottica i Guardiani della rivoluzione sono tutt’altro che indeboliti dalla scomparsa di Raisi».

Resta da capire in quali forme si articolerà il forte dissenso interno al Paese. «Nuove elezioni per la sostituzione del presidente saranno sicuramente un’occasione di confronto, dopo le ultime che hanno visto una scarsissima affluenza. Si potrà rianimare forse il dibattito interno, ma è più facile pensare che in momenti come questi ci si stringa maggiormente all’interno ricompattando e riducendo il dissenso. Lo stesso Raisi non era particolarmente amato, quindi è più plausibile che assisteremo a una transizione morbida, senza evidenti scossoni» conclude l’analista del CeSI.

di Eleonora Lorusso

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