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Da Gaza numeri non credibili, parla l’analista strategico Claudio Bertolotti (Start InSight)

“I numeri proprio non tornano”. Le parole di Claudio Bertolotti, direttore di “Start InSight” e autore di “Gaza underground”

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A sette mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre – e con Israele che ha appena ricordato le vittime del terrorismo – c’è chi cerca di fare chiarezza sui numeri, diventati una potente arma nel conflitto in Medio Oriente. «Quello in corso è uno scontro per certi versi nuovo, rappresenta una svolta anche rispetto ai precedenti analoghi. È una guerra non convenzionale, ma tutto sommato simmetrica perché all’esercito israeliano si contrappone quello – seppure piccolo – dei combattenti di Hamas. Ma è soprattutto una nuova urban warfare e una cognitive warfare. E proprio i numeri non tornano» spiega Claudio Bertolotti, direttore di “Start InSight” e autore di “Gaza underground”.

«Abbiamo un’unica fonte, peraltro non attendibile perché rappresentata dal Ministero della Salute di Gaza, cioè Hamas. Secondo questa fonte all’1 marzo scorso si registravano circa 32mila vittime, per la maggior parte donne e bambini. Ma un’analisi statistica che metta a confronto questi dati con quelli di conflitti analoghi precedenti in contesto urbano (come Mosul in Iraq e varie battaglie in Siria) e quelli dei bilanci giornalieri resi disponibili da fonte palestinese, dimostra che si tratta di numeri incoerenti. Non ci sono o compaiono in modo troppo ridotto i maschi adulti, mentre in un conflitto di qualunque tipologia questi sono sempre presenti in quantità rilevanti. Insomma, si tratta di dati palesemente artefatti» sottolinea Bertolotti.

«I numeri ci indicano un altro elemento: in questa pur durissima crisi il bilancio complessivo è inferiore a quello di guerre analoghe del passato, grazie anche al ricorso all’intelligenza artificiale. Israele indica 22mila vittime totali, confermate anche dall’intelligence Usa, circa la metà delle quali sarebbe palestinese». Un dato decisamente più attendibile: «Equivale a circa il 10% della popolazione totale della Striscia, cioè di quella rimasta nelle aree urbane colpite per volontà propria o perché costretta dalla stessa Hamas allo scopo di disporre di scudi umani e di un’arma di propaganda presso l’opinione pubblica. Ed è un dato coerente con altri esempi di guerre urbane» osserva l’analista strategico. «Certo, si tratta pur sempre di perdite umane, purtroppo inevitabili in un contesto di guerra per quanto ‘chirurgica’. Tel Aviv ha usato tecniche di riconoscimento facciale dei leader di Hamas, incrociando – grazie all’intelligenza artificiale – le informazioni con quelle delle utenze telefoniche per colpire nel modo più mirato possibile i propri obiettivi e dopo aver indicato corridoi umanitari nei quartieri di Gaza. Poi, una volta entrati con i mezzi pesanti, si è proceduto in modo estremamente lento, casa per casa. Ma questo non porta comunque a cancellare gli effetti collaterali di una guerra».

A questo punto i rischi sono due: «Da un lato Israele ha annunciato di essere pronto a un conflitto lungo, destinato a prolungarsi anche fino a un anno. Dall’altro mira a scongiurare la contro-insurrezione» spiega ancora Bertolotti. E sarebbe lo scenario peggiore, perché rappresenterebbe il passaggio a uno scontro generalizzato in cui verrebbe meno la distinzione dei combattenti sul campo di battaglia. Il generale americano David Petraeus, padre del manuale contro-insurrezionale adottato dagli Usa in Afghanistan, ha una visione ottimistica secondo cui è possibile evitare questa reazione conquistando cuore e mente della popolazione locale per non creare nuovi nemici. Io temo invece che cuore e mente palestinesi siano impossibili da conquistare, stante la situazione attuale e la lunga conflittualità con Israele. Per questo credo che Tel Aviv tenterà di disimpegnarsi dalla guerra. Ma lasciando le consegne a chi? Questo è il vero interrogativo».

di Eleonora Lorusso

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