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Giovani e lavoro, la Generazione Z cerca ambienti più dinamici e con opportunità di crescita

Sempre più giovani laureati della Generazione Z chiudono le porte a una carriera negli studi professionali, orientandosi verso percorsi alternativi. Una vera e propria fuga riassunta da dati che fanno riflettere. Le parole di Carmelo Bifano, presidente nazionale della Confederazione generale delle professioni intellettuali (Fisapi)

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Mandare avanti lo studio legale di famiglia? No, grazie. Meglio un lavoro da dipendente in un’azienda oppure avviare progetti individuali, magari in settori digitali e tech. Sempre più giovani laureati della Generazione Z chiudono le porte a una carriera negli studi professionali, orientandosi verso percorsi alternativi. Una vera e propria fuga riassunta da dati che fanno riflettere.

Nel 2023 l’età media dei liberi professionisti si è attestata a 48 anni, contro i 45,5 anni del 2013. L’esodo dagli studi professionali non riguarda soltanto la componente più giovane, che fa comunque segnare un -13,8%. Ma anche la fascia 35-54 anni (con un -8,6%). Nel 2009 il 70% dei professionisti aveva meno di 50 anni, oggi lo stesso dato è sceso al 54,9%. A dirlo è il 9° Rapporto sulle libere professioni. E sul fronte dell’orientamento agli studi universitari non va molto meglio. Gli iscritti a Giurisprudenza negli ultimi dieci anni sono diminuiti del 27%. E nel 72% dei casi i neolaureati in materie giuridiche ed economiche optano per un inserimento in azienda. Mentre soltanto il 18% guarda agli studi professionali come sbocco occupazionale d’interesse.

Ma quali sono le cause di questa disaffezione della Gen Z nei confronti degli studi professionali? I giovani nati dopo il 1997 hanno un’idea del lavoro profondamente diversa da quella delle generazioni precedenti. Al posto della stabilità e del prestigio privilegiano l’equilibrio tra vita e lavoro. La flessibilità, l’attenzione alla sostenibilità e soprattutto il bisogno di dare un senso a ciò che fanno.

Gli studi professionali oggi faticano ad attrarre i giovani anche a causa di orari rigidi, lunghi periodi di praticantato con retribuzioni basse, un modello organizzativo fortemente gerarchizzato e percorsi di crescita poco definiti. «Questo problema esiste e noi lo tocchiamo con mano» spiega a “La Ragione” Carmelo Bifano, presidente nazionale della Confederazione generale delle professioni intellettuali (Fisapi). «Si tratta di una generazione protagonista dell’innovazione, che sa come si usa l’intelligenza artificiale e punta a essere protagonista. Gli studi professionali devono recepire queste istanze e rinnovarsi profondamente, perché è impensabile che le professioni possano andare avanti senza l’apporto della Gen Z».

A pesare è anche il cambiamento culturale avvenuto dopo la pandemia: molti giovani cercano ambienti di lavoro più dinamici, con maggiori opportunità di crescita e un’attenzione reale al benessere personale. A tutto questo si aggiunge un disallineamento tra ciò che viene insegnato nei percorsi formativi e le reali esigenze degli studi, con giovani ben preparati dal punto di vista teorico ma spesso poco pronti ad affrontare le richieste pratiche tipiche delle professioni tradizionali. «Il tema della formazione non si esaurisce nella fase iniziale. Non basta più avere competenze tecniche: oggi servono skills ibride, trasversali, che spaziano dalla comunicazione alla gestione del tempo, dalla leadership alla capacità di lavorare in team» prosegue Bifano. «Se vogliono tornare ad attrarre la Generazione Z, gli studi professionali devono essere in grado di offrire anche questo tipo di formazione».

Avviare una profonda trasformazione culturale, ripensare modelli organizzativi ormai superati: flessibilità, meritocrazia e attenzione al benessere dei collaboratori diventano quindi elementi centrali per attrarre e trattenere le nuove generazioni di talenti. In questo scenario l’integrazione tra competenze umane e tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale non è soltanto una necessità ma un’opportunità concreta per innovare i processi e rendere le carriere più dinamiche e sostenibili. Un cambiamento che può ridisegnare il futuro della professione, valorizzando sia il capitale umano che quello tecnologico. «Serve un patto generazionale basato sulla fiducia e sull’ascolto, che veda gli studi professionali protagonisti del cambiamento ma in connessione con le istanze di questa generazione» conclude Bifano.

di Valentina Monarco

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