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I conservatori pagano per le promesse mancate e l’incompetenza

Elezioni UK, una maggioranza storica quella dei laburisti con 410 seggi (sui 650 della Camera dei Comuni). Crollano i consensi dei tories con 131 seggi. Parla Matteo Villa (ISPI)

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A urne chiuse, il voto nel Regno Unito conferma le previsioni della vigilia e dei sondaggi. I britannici cambiano rotta e, dopo 14 anni, decidono di affidarsi ai laburisti. Lo spoglio sancisce, dunque, la debacle dei conservatori, nonostante l’appello del premier uscente, Rishi Sunak, a non consegnare il Paese a Keir Starmer. «È stato esattamente ribaltato – e possibilmente in modo ancora più forte – il risultato del 2019, quando i conservatori avevano annientato i laburisti e prevedevano di poter restare alla guida del Paese fino almeno al 2030», spiega Matteo Villa, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale – ISPI. Un risultato storico, dunque, anche perché «eravamo abituati a una politica britannica che non oscillava mai molto. Invece, cinque anni dopo lo scenario è cambiato completamente e oggi il Regno Unito appare quasi più instabile dell’Italia, dove la durata media di un governo è di un anno e mezzo», sottolinea Villa. 

A pesare sul voto sarebbe stata soprattutto la delusione di fronte agli effetti dell’uscita dall’Unione europea. «Il fallimento di Brexit è stato determinante, perché l’elettorato conservatore ha votato laburista in risposta per reazione, rabbia e delusione nei confronti delle promesse (anche forse utopistiche) non mantenute e di fronte alla miopia di molti leader Tories. Basti pensare a Boris Johnson, che è apparso più attento ai propri interessi che non a quelli del Paese, o a Liz Truss, che ha disatteso le aspettative riposte nei suoi confronti – spiega Villa – I dati non lasciano dubbi: alla domanda posta agli elettori se la Brexit fosse stata una buona scelta, nel 2020 il 50% rispondeva “sì” e il 50% “no”. Oggi il fronte del “no” è arrivato al 65% rispetto a coloro che sono ancora convinti dei benefici dell’uscita dall’UE». 

Altri fattori importanti sono poi le difficoltà economiche che hanno influito sui servizi sociali e sulla sanità, portando anche a un aumento del costo della vita: «Credo che anche rimanendo nell’Ue i britannici avrebbero faticato, ma i conservatori hanno invece cavalcato l’idea che senza i lacci e i regolamenti di Bruxelles la situazione sarebbe migliorata. Così non è stato. Brexit ha avuto l’effetto di rallentare la crescita economica. Lo dimostrano ancora i dati: l’ufficio per la responsabilità di bilancio stima che si è perso il 4% del Pil. Significa che si può fare il 4% di spesa in meno e questo compromette i servizi sociali. I Tories all’epoca avevano promesso di poter compensare un danno economico legato alla Brexit con nuovi grandi accordi commerciali, che però non sono stati firmati – spiega Villa – Gli unici sottoscritti sono quelli con alcuni paesi, che ricalcano le precedenti intese, con il Messico, l’Australia e la Nuova Zelanda, ma di poco conto, mentre con gli Usa non se ne sono realizzati. Il risultato è che con queste intese si è guadagnato solo 0,12%, quindi a conti fatti il Regno Unito ha perso 35 volte quello che hai incassato».

In campagna elettorale ha tenuto banco l’ipotesi che Londra possa rinegoziare nuovi legami con Bruxelles, in particolare tramite accordi nel campo del commercio e della sicurezza, oltreché degli scambi culturali dei giovani, come nel caso del progetto Erasmus. Ma avverrà davvero? «Qualcosa potrebbe avvenire, ma dubito che ci possa essere un riavvicinamento significativo, quanto piuttosto una rivisitazione per far sì che siano ridotti gli effetti negativi della Brexit, ad esempio proprio in progetti come Erasmus». Nessuno scossone neppure con gli Stati Uniti, di cui il Regno Unito è il principato alleato nell’area europea: «Credo la politica estera britannica cambierà poco, anche perché Keir Starmer è descritto come poco attento all’ideologia e molto più concentrato sul dettaglio, molto puntiglioso sui singoli temi. I britannici lo definiscono boring, noioso, il che lascia presumere che la special relationship con l’America rimarrà», conclude l’analista.

di Eleonora Lorusso

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