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Maurizio de Giovanni ricorda James Senese

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“James Senese è stata una figura fortemente identitaria della musica napoletana”. Lo scrittore Maurizio de Giovanni ricorda il celebre sassofonista

Maurizio De Giovanni

Maurizio de Giovanni ricorda James Senese

“James Senese è stata una figura fortemente identitaria della musica napoletana”. Lo scrittore Maurizio de Giovanni ricorda il celebre sassofonista

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Maurizio de Giovanni ricorda James Senese

“James Senese è stata una figura fortemente identitaria della musica napoletana”. Lo scrittore Maurizio de Giovanni ricorda il celebre sassofonista

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Uomo di mare, uomo di sangue. Figlio di un soldato afroamericano del North Carolina (che tornò negli Usa nel Dopoguerra, quando lui aveva due anni) e di una napoletana. Tracce del secondo conflitto mondiale, immagini in bianco e nero, incrocio di due mondi, suono di due mondi. Storia di dolore e luce, “il nero napoletano”, spigoloso, fiero, allergico ai compromessi: James Senese è morto ieri a 80 anni.

Mica solo l’alto magistero del sax, mica solo (sarebbe un pensiero terribilmente superficiale) il sassofonista di Pino Daniele. Un respiro, un grido: il suono che diventa voce della vita, della strada. Un pilastro del neapolitan power: sperimentazione, rhythm and blues, che ha praticamente inaugurato con gli Showmen negli anni Sessanta, poi l’evoluzione jazz-rock nel decennio successivo con i Napoli Centrale, fondati nel 1975 insieme a Franco Del Prete, attraverso cui aveva inventato un genere prima ancora di saperlo.

«James Senese è stata una figura fortemente identitaria della musica napoletana. È stato l’interprete di un nuovo suono che parte fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, arrivando sino alla contemporaneità. Appunto con gli Showmen, Napoli Centrale e sino alla meravigliosa esperienza con Pino Daniele, di cui è stato compagno, sodale e che ha caratterizzato la sua produzione» racconta a “La Ragione” lo scrittore Maurizio De Giovanni. «Napoli si è riconosciuta tantissimo in James Senese e vi si riconosce tuttora. Il suo suono, il suo sax, è una voce, non uno strumento. Riconoscibilissimo, potente, geniale, aveva delle solidissime basi di competenza, unita all’improvvisazione, proveniente anche dalle radici americane».

Tracce di John Coltrane (il suo mito musicale), di Miles Davis, il primo rock, lo swing americano degli anni Quaranta e Cinquanta conosciuto attraverso i piccoli negozi di dischi, un talento cresciuto fra le rovine di Miano e Secondigliano, periferia Nord di Napoli. Quartieri complicati da cui mai si è distaccato.

La svolta è arrivata nel 1977, con la produzione di “Qualcosa ca nu’ mmore”: James ingaggia un bassista sconosciuto. Il suo nome è Pino Daniele. È il via a una leggendaria storia di arte e vita. Senese è stato fratello d’arte appunto di Pino e di musicisti come Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Tony Esposito. Una superband, la superband della musica italiana. Ha suonato in “Nero a metà”, l’album capolavoro di Pino Daniele, e l’assolo di sax che firma in “Quanno chiove” è un passaggio per l’eternità musicale. Orgoglio e inquietudine. Ma forse il punto più alto è l’intro struggente e usurante di “Chi tene ‘o mare” in “Pino Daniele”, secondo album del grande cantautore, a due anni da “Terra Mia”.

Dopo gli anni del successo con Daniele, per Senese sono arrivati altri capitoli di carriera, in altre band, da solista. Ha avuto anche esperienze cinematografiche: “No grazie il caffè di rende nervoso” con Massimo Troisi, “Passione” di John Turturro. Ha suonato quasi sino alla fine. Proprio quest’anno aveva pubblicato anche un album di inediti.

«Ovviamente sarebbe riduttivo raccontare Senese soltanto come uno dei musicisti di Pino Daniele. Lui c’era già da prima, con Pino diciamo che è arrivato a un pubblico più vasto» osserva De Giovanni. «È stato un felice incontro di identità diverse, con una capacità di interpretazione che deriva dall’introiettamento di culture che arrivano da fuori, una caratteristica musicale e culturale propria di Napoli, forse anche per la presenza in città del porto, così influente, capace di portare in città culture, tradizioni lontane. La sua perdita, unita a quella di Mimmo Jodice, fotografo napoletano scomparso proprio in queste stesse ore, caratterizza un’epoca. Rimarranno entrambi saldi nelle profondità più forti della nostra cultura».

di Nicola Sellitti

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