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Pino Daniele

Dieci anni senza Pino Daniele

Davvero Pino Daniele – esattamente a dieci anni dalla sua scomparsa – a Napoli non è mai morto

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Dieci anni senza Pino Daniele

Davvero Pino Daniele – esattamente a dieci anni dalla sua scomparsa – a Napoli non è mai morto

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Davvero Pino Daniele – esattamente a dieci anni dalla sua scomparsa – a Napoli non è mai morto

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Davvero Pino Daniele – esattamente a dieci anni dalla sua scomparsa – a Napoli non è mai morto

Avviso ai lettori: non è un cedimento all’oleografia, in cui Napoli pure a volte sa perdersi, per fortuna sempre meno. Davvero Pino Daniele – esattamente a dieci anni dalla sua scomparsa – a Napoli non è mai morto. Non che la sua perdita non sia stata elaborata, perché dieci anni sono tanti; piuttosto la sua presenza è ormai sottopelle a chi l’ha ascoltato, interiorizzato. È un patrimonio di suoni, frasi, immagini trasmesso ai figli. Pino Daniele è ancora presente nei vicoli, negli anfratti dei decumani, nel linguaggio, nelle immagini, nei murali, nei pensieri. È come Diego Armando Maradona, parte di un patrimonio genetico, sebbene appartenga all’Italia, al mondo, senza steccati. E, ora come allora, è sempre difficile rendere l’idea di questo processo osmotico a chi non è nato o non ha vissuto a Napoli. Non per presunzione o per un presunto ius primae noctis.

Per il decennale della morte di Pino Daniele il Comune di Napoli ha organizzato un tour di due giorni nelle strade cittadine. Un percorso nelle piazze dove l’artista è cresciuto, dove ha scritto “Napule è” «’na camminata, int’e viche mmiez’all’ate” (nell’album “Nero a metà” del 1980). Al cinema invece c’è “Pino Daniele – Nero a metà”, altro ritratto intimo degli anni della formazione, da ragazzo che ama la chitarra e il blues (conosciuto frequentando i marinai americani al porto di Napoli) fino alla dimensione di fuoriclasse della musica italiana. E poi ci sono libri, ristampe, c’è il recente singolo inedito “Again” che lascia i brividi addosso, ci sarà anche un concerto per festeggiare quello che sarebbe stato il suo 70esimo compleanno, il 18 settembre in Piazza del Plebiscito.

Insomma, c’è tutto il materiale per dare una spolverata – se mai ce ne fosse stato bisogno – alla grandezza di un musicista eccellente, ripercorrendo però solo a tappe la storia di un legame controverso tra una città e il suo artista di punta che è difficile da rintracciare in altri grandi nomi della nostra musica. Lucio Dalla ha messo su carta e in note il suo intreccio con Bologna, così Eros Ramazzotti con la periferia romana dove è cresciuto. Lo ha fatto De Andrè con Genova, tra vicoli e mulattiere, portici e botteghe. Ma Faber non è mai stato feroce con la sua città, invece Pino ha saputo esserlo: figlio, creatura e uomo di Napoli, era troppo innamorato, troppo preso da lei per andarci leggero. Era un concentrato di amarezza, per quello che Napoli poteva essere e diventare, senza cercare il ‘Masaniello’ di turno, senza rassegnarci alle ferite storiche, rispetto a quello che gli passava sotto gli occhi.

Erano davvero come amanti: si prendevano e si lasciavano e così fino alla fine della sua vita, con Pino a vivere in ‘esilio volontario’ tra Roma e la Toscana, ma senza mai perdere la speranza della redenzione, del cambiamento. Lo ha ricordato tre anni fa l’Arcivescovo di Napoli, il Cardinale Mimmo Battaglia, che nel suo primo messaggio dal Duomo mise da parte il Vangelo e prese in prestito un’intera strofa di “Terra mia” (primo album in studio di Pino Daniele, anno 1977) che era un inno alla speranza, senza voler nascondere le verità più crude. Chissà se a Pino sarebbe piaciuta l’ultima versione di Napoli, avvolta dai problemi ma meta europea del turismo, proiettata al futuro, finalmente meno ripiegata su sé stessa.

di Nicola Sellitti

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