Rocco Hunt: “‘Ragazzo di giù’ è il mio disco della maturità. Basta con il pop da ombrellone”
Rocco Hunt ci ha raccontato il mondo dentro al suo ultimo disco, “Ragazzo di giù”, in uscita venerdì 25 aprile: il disco della maturità

Rocco Hunt: “‘Ragazzo di giù’ è il mio disco della maturità. Basta con il pop da ombrellone”
Rocco Hunt ci ha raccontato il mondo dentro al suo ultimo disco, “Ragazzo di giù”, in uscita venerdì 25 aprile: il disco della maturità
Rocco Hunt: “‘Ragazzo di giù’ è il mio disco della maturità. Basta con il pop da ombrellone”
Rocco Hunt ci ha raccontato il mondo dentro al suo ultimo disco, “Ragazzo di giù”, in uscita venerdì 25 aprile: il disco della maturità
Da qualche anno a questa parte stiamo assistendo al fiorire di una nuova scena napoletana in ambito musicale, capace di sfornare talenti e dire la propria. Tra i primi nomi a emergere è impossibile non nominare Rocco Hunt, oggi 30enne e in uscita venerdì prossimo con un nuovo album: “Ragazzo di giù”. Un disco che lo stesso autore ha deciso di presentare nella cornice non casuale dell’ex deposito bagagli della stazione di Milano: «È il centro del nostro viaggio, quel ‘ragazzo di giù’ nelle stazioni ci ha passato mezza vita. La stazione è un po’ il filo conduttore di tutto: è il luogo dove in un certo senso è iniziata questa mia avventura nella musica. Dagli Intercity, dai treni notturni fino ad arrivare ai convogli più moderni e comodi di oggi».
Questo album rappresenta un passo importante, di consapevolezza: «È il disco della maturità, con tematiche più serie, che si allontana dal Rocco ‘sotto l’ombrellone’ delle estati passate. All’interno c’è una sorta di analisi dei miei primi trent’anni di vita. Un album che racchiude le mie diverse anime e che arriva dopo Sanremo. Con la scelta ben precisa di ripartire dalle mie radici. Ci sono tante sfumature, una visione a 360 gradi di quello che è oggi Rocco Hunt. Quando custodisci qualcosa per tanto tempo, poi sei quasi geloso all’idea che possa diventare di tutti».
Nelle tracce che lo compongono, “Ragazzo di giù” si delinea come un progetto che non ha paura di cantare i problemi della nostra società, partendo dal senso di appartenenza e di ambizioni di chi cresce in un contesto troppo spesso marginalizzato fino a toccare una scrittura introspettiva. Ci sono anche tutte le contraddizioni del nostro Paese, cantate da Hunt in “Demone Santo”: «È un brano che riflette sulla nostra nazione e in particolare sulla mia terra. Nel testo faccio riferimenti espliciti a fatti di cronaca che mi hanno colpito profondamente, come il crollo del ballatoio a Scampia (il riferimento è alla tragedia del luglio 2024 a Napoli in cui morirono tre persone, ndr.).
Per me quello è l’emblema dell’abbandono dello Stato nei confronti delle periferie. Mi chiedo a cosa serva, dopo, vedere il tricolore sulle bare o il Presidente che viene a porgere le condoglianze: quando perdi la tua famiglia per colpa di una struttura fatiscente, le parole non bastano. Quel palazzo oggi è stato abbattuto e si cerca di dare un futuro migliore a chi abita quel quartiere. Ma quanto è costato, umanamente, arrivare fin lì?» si chiede Hunt.
Dalla chiacchierata e dalle tracce del disco emerge un Rocco a fuoco, maturo, che ha ben chiaro cosa dire e come dirlo, ma che non manca di lasciarsi andare all’emozione, soprattutto quando si parla di suo figlio («Non sai quanto mi è costato, figlio mio, questo tuo accento milanese…»): «Mio figlio è troppo fan per potergli far ascoltare le canzoni con troppo anticipo. Perché poi gli viene spontaneo cantarle al parco, a scuola… e finisce che genitori e maestre scoprono pezzi che ancora non sono usciti! Però per me è importante che le canzoni gli piacciano. Crescere insieme a lui è un orgoglio».
E tra una riflessione sui feat nel disco (duetti con Irama, Gigi d’Alessio, Baby Gang e Massimo Pericolo) e le anticipazioni sul tour estivo che partirà il 20 giugno da Campobasso per arrivare alla data del 6 ottobre al Forum di Milano, c’è stato il tempo anche per una riflessione sul rap di oggi: «Purtroppo, oggi c’è la ‘moda’ di voler mostrare di essere qualcosa che in realtà non si è. In certi ambienti più sei ‘credibile-incredibile’ e più fai colpo. Io ho avuto la fortuna di avere la musica a tenermi distante da certe strade. Ecco perché per me la musica può essere riabilitativa, può dare una seconda chance.
Per questo dico sempre: non spariamo a zero. Cerchiamo di andare oltre la superficie, di capire le dinamiche che ci sono dietro certi testi o certi immaginari. Perché dietro quelle parole spesso c’è un disagio, c’è una storia, c’è la voce di un ragazzo o di una ragazza che stanno cercando una via d’uscita».
di Federico Arduini
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- Tag: musica
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