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Iran, a chi giova l’apertura del secondo fronte

A oltre 100 giorni dall’inizio del conflitto a Gaza, l’allargamento dello scontro oltre Israele e la Striscia appare inevitabile. Intervista ad Arduino Paniccia, consulente Onu
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A oltre 100 giorni dall’inizio del conflitto a Gaza, l’allargamento dello scontro oltre Israele e la Striscia appare inevitabile, ma soprattutto sembra avere un’unica regia: l’Iran. Dietro ai miliziani di Hamas e di Hezbollah – così come dietro agli Houthi yemeniti – c’è sempre Teheran, che nel frattempo attacca il Pakistan e bombarda la Siria (ufficialmente per colpire l’Isis) e l’Iraq, dove sono state bersagliate circa 150 basi americane soltanto nelle ultime settimane. A cosa mira la Repubblica Islamica? «In questo contesto torna di attualità la definizione di Karl von Clausewitz di “nebbia della guerra” che impedisce di trovare soluzioni razionali» spiega Arduino Paniccia, analista e scrittore, già consulente per agenzie Onu, esperto Ispi nonché fondatore della Scuola di competizione economica internazionale (Asce). «Ho la sensazione che la tradizionale strategia americana di contenimento perda di valore. Come Nato e Occidente dobbiamo cercarne una nuova, soprattutto di fronte all’apertura di quello che è chiaramente il secondo fronte di guerra, quello che dal Mediterraneo si sta ampliando alla vasta area che comprende il Mar Rosso, il Medio Oriente in generale e l’area del Golfo» aggiunge Paniccia. L’attore principale è l’Iran, ma alle sue spalle ci sono Russia e Cina: «Fino a pochi anni fa si pensava che l’Iran, devastato da rivolte interne, fosse ormai isolato e accerchiato. Oggi pare invece ambire a diventare una potenza di area che contrasta i sauditi, attacca Israele, arma le milizie dal Libano al confine pakistano, vuole tenere testa agli Usa e può contare alle sue spalle su Federazione Russa e Cina. Teheran gioca infatti il ruolo del guastatore, mentre Pechino si propone periodicamente come mediatore, ma di fatto non stigmatizza alcun comportamento» spiega Paniccia. «L’impressione è che nell’ultimo triennio si sia delineato un blocco asiatico piuttosto compatto: sarebbe stato difficile per la Russia affrontare il conflitto in Ucraina senza il fermo sostegno da parte della Repubblica popolare cinese che, pur dichiarando una presa di distanza e un ruolo di pacificatrice, non ha fatto nulla per fermare il Cremlino».
 
Questa volta però la Nato può poco, anzi nulla: «Da un punto di vista strategico è un aspetto da non sottovalutare. Il nuovo fronte è aperto in un’area nella quale l’Alleanza Atlantica non può operare e infatti stanno agendo soltanto gli Usa e alcuni alleati come il Regno Unito» fa notare Paniccia. «Al contrario, dall’altra parte si posiziona un blocco asiatico ampio e coeso che ruota attorno al gruppo di Shangai e che agisce in modo coordinato, nel quale appare evidente il ruolo di Pechino che invoca giustizia per il “grande Sud” così da cancellare le ingiustizie del passato». In questo contesto l’Europa non ha ancora trovato un accordo per una missione navale: «Sarebbe la soluzione più utile, se non necessaria: al momento non vedo altre vie, non è possibile attendere oltre. Temporeggiare non porterà alla pace con gli Houthi, finché avranno missili pronti a essere lanciati contro le navi nel Mar Rosso. Non siamo in un consesso filosofico: c’è sempre tempo per trattare ma non ora, quando invece servirebbe una risposta decisa per fermare i terroristi e l’Iran. Lo ha capito anche la Russia che – in una fase della guerra in Ucraina – ventilava l’ipotesi di un allargamento dello scontro a Kaliningrad o alla Transnistria» conclude Paniccia. Di Eleonora Lorusso La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

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