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La difesa italiana passa dal Mar Rosso, parla l’Ammiraglio Fabio Agostini

L’Ammiraglio di divisione Fabio Agostini, del Comando operativo di vertice interforze (Covi), spiega la missione navale europea nel Mar Rosso
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«Dobbiamo difendere i nostri interessi nazionali, dobbiamo proteggere il nostro traffico mercantile per garantire che i prodotti che arrivano nelle case degli italiani mantengano i loro prezzi, senza incrementi esponenziali». L’ammiraglio di divisione Fabio Agostini, del Comando operativo di vertice interforze (Covi), spiega così i contorni della missione navale europea nel Mar Rosso, promossa proprio da Italia, Francia e Germania («Un dovere», secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani). L’Italia dovrebbe partecipare con due navi (“Martinengo” e “Fasan”): «I nomi delle navi lasciano il tempo che trovano, dipendono dagli impegni, dagli uomini e dai mezzi a disposizione delle Forze armate. Quello che è certo è che c’è una forte volontà italiana a contribuire alla stabilità e soprattutto alla sicurezza del traffico mercantile in quell’area. Stiamo leggendo le carte, in attesa che questa operazione europea abbia contorni più definiti, ma sicuramente avremo un ruolo molto attivo» sottolinea l’ammiraglio Agostini. Il quartier generale della missione potrebbe essere in Italia. Il nome, invece, c’è già (Aspides) così come la data di inizio (il 19 febbraio). Quanto all’uso della forza, «sarà assolutamente a difesa degli interessi nazionali e del traffico mercantile italiano ed europeo. Per qualunque tipo di missione c’è bisogno di un passaggio parlamentare, ma non è nella storia, nella tradizione e nella volontà del nostro Paese contribuire ad azioni di tipo ‘aggressivo’, in particolare in questo momento» chiarisce l’ammiraglio, che ricorda esempi noti di missioni che vedono l’Italia in prima linea, come in Libano: «Il contingente militare italiano è il più consistente della missione Unifil e conta 1.100 fra uomini e donne. Agiscono come forza di interposizione in una zona di confine molto tesa, ora più che mai. Se la situazione dovesse peggiorare sarà l’Onu a verificare se sussistano ancora le condizioni di sicurezza per proseguire, anche se come Covi stiamo monitorando e siamo pronti ad attuare eventuali piani di emergenza». Con la missione Mibil vengono invece addestrate le forze armate libanesi e fornita assistenza alla popolazione civile, anche a livello sanitario, come sta facendo l’unità “Vulcano” nel porto egiziano di Al Arish, a pochi chilometri dal valico di Rafah. Circa 40 fra medici delle Forze armate, della Fondazione Rava e provenienti da altri Paesi (anche arabi) garantiscono trattamenti medici, psicologici e interventi chirurgici complessi a feriti civili dello scontro nella Striscia di Gaza. Ne sono stati già curati circa 70, in gran parte minori. Proprio a Gaza, intanto, non si esclude la partecipazione a una nuova operazione di pace: «È ovvio che dovranno esserci specifiche condizioni, come l’egida dell’Onu e un solido cessate il fuoco, che al momento mancano» conferma Agostini, che ricorda come al momento l’impegno della Difesa in tutte le missioni conta su «circa 13mila militari, dei quali 7.500 sono impegnati in 34 operazioni in 25 Paesi nel mondo. Di queste, 26 sono sotto l’egida di organizzazioni internazionali di riferimento come Onu, Nato e Unione europea, mentre altre 8 sono basate su accordi bilaterali o specifiche coalizioni internazionali. Altri 5.500 militari operano infine in tre operazioni nazionali, cioè “Strade sicure”, la difesa aerea nazionale e la vigilanza pesca» conclude il rappresentante del Covi. Di Eleonora Lorusso

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