La Francia spezzata: proteste di oggi e di ieri
Le ragioni dello scontro: dalla “discriminazione positiva” ai giovani che non hanno più nulla da perdere. Intervista a Massimo Nava, editorialista del Corriere
È il giorno dei funerali di Nahel, in Francia. I genitori, che in un primo tempo avevano guidato le proteste, hanno chiesto “discrezione”, ma la tensione è alle stelle, come dimostrano le parole del presidente francese, Emmanuel Macron: «Tenete i figli a casa». O quelle dei sindacati di polizia d’Oltralpe che, con un comunicato congiunto di esponenti di destra e sinistra, parlano senza mezzi termini di uno stato di guerra nel quale il Governo dovrebbe «Imporre l’ordine. È il momento di combattere questi parassiti», scrivono riferendosi ai manifestanti. L’Alliance Police Nationale e l’Unsa Police denunciano: «I nostri colleghi, come la maggior parte dei cittadini, non ne possono più dei diktat di queste minoranze violente», aggiungendo che «Sottomettersi, capitolare e fare loro la cortesia di deporre le armi non sono le soluzioni adatte a questa grave situazione». La strada è una sola, per i poliziotti: «Deve essere adottato ogni mezzo per reinstaurare lo stato di diritto. Una volta ristabilito, sappiamo già che rivivremo ancora quel caos che siamo costretti a subire da decenni». La morte del 17enne a Nanterre è solo “casus belli” che si inserisce in un “problema endemico” anche secondo Massimo Nava, giornalista ed editorialista del Corriere della Sera, già corrispondente da Parigi e profondo conoscitore della Francia. Secondo Nava quello che sta accadendo ha a che fare con la “rabbia popolare”: «Si tratta di un problema che risale persino agli anni ‘70 e ‘80, con le prime ondate migratorie, poi è proseguito con i figli e i nipoti di quegli migranti, che sono francesi a tutti gli effetti, ma che si sentono cittadini di seconda classe – spiega Nava – Ciò che è cambiato è che negli anni ‘80 e con le grandi proteste degli anni 2000 si chiedevano integrazione sociale, posti di lavoro, di “discriminazione positiva” per avere accesso alle grandi università: si voleva uscire dal ghetto. Oggi questa la protesta è di tipo anarcoide, difficilmente incanalabile, quasi disperata da parte di gente che non ha nulla da perdere. Questi giovani non votano, non credono più a nulla, parlano persino una lingua diversa storpiata dal francese, contestano le scuole e c’è anche una deriva religiosa e criminale, che si scontra con il tentativo di recuperare il territorio: il risultato sono gli scontri con la polizia».
Il rischio di terrorismo, alla base anche della legge che consente ai poliziotti di sparare in caso di non ci si fermi all’alt e che ha portato alla morte di Nahel, era stata introdotta dopo gli attentati del 2015. Ha ancora senso, come si chiede qualcuno? «L’emergenza terroristica non è finita, non abbiamo visto attentati drammatici, ma sappiamo che i servizi segreti e le forze dell’ordine ne hanno sventati moltissimi. Basti pensare all’insegnante decapitato, al prete aggredito in chiesa e agli slogan antisemiti e contro la società bianca che continuano a essere diffusi». Le proteste, intanto, riguardano non solo Parigi, ma anche Marsiglia e Lione, le tre più grandi città francesi, segno che il problema riguarda tutto il Paese: «In questi anni sono stati profusi molti milioni di euro in piani di recupero delle periferie e per migliorare i servizi sociali, ma il fallimento è nella testa dei francesi, in particolare dell’establishment, dei “garantiti” dallo Stato. È il senso di separatezza che non è stato superato, anzi forse è peggiorato. Un po’ perché rimangono i ghetti, con i quartieri sotto controllo di bande. Anche gli attentatori del Bataclan provenivano dalle banlieu. Ma la stessa società francese le ha stigmatizzare, basti pensare ad alcuni messaggi di partiti di destra e di estrema destra e di alcuni intellettuali come Eric Zemmour o Michel Huellebeq, che hanno alimentato la teoria della sostituzione etnica e della scomparsa della Francia bianca e cristiana», spiega Nava.
Ora si assiste a un’ondata di disdette di prenotazioni in ristoranti e hotel. Se la primavera per Macron è stata dura, con le proteste contro la riforma delle pensioni, neppure l’estate sembra annunciarsi serena. «Sì, anche se c’è una grande differenza: i gilet gialli o le manifestazioni per le pensioni non hanno riguardato le periferie o lo hanno fatto marginalmente, perché la popolazione che vive lì non si sente il bisogno di lottare per la pensione o il lavoro: è marginalizzata anche ella dimensione politica», conclude Nava.
Di Eleonora Lorusso
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Iscriviti alla newsletter de
La Ragione
Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.