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L’Egitto è con le spalle al muro

Il Cairo apre Rafah, ma teme uno spill over di terroristi in Sinai. “Occorre trovare soluzione umanitaria”, spiega Melcangi, della Sapienza di Roma
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L’Egitto ha appena trovato un accordo con gli Usa per permettere il passaggio di cittadini americani o palestinesi con cittadinanza statunitense dalla Striscia di Gaza al territorio egiziano, tramite l’apertura del valico di Rafah. Un passo avanti dopo che Il Cairo aveva detto di non voler accogliere profughi. «Questa decisione è stata presa con difficoltà dall’Egitto. Da sempre questa frontiera è fonte di preoccupazione per il Cairo, perché da lì passano i profughi. In più ora si aggiunge una pressione dal sud, dal Sudan. Da Rafah c’è anche un’infiltrazione di gruppi terroristici e di armi: è sicuramente una frontiera che è tenuta sotto controllo dall’Egitto, che in questo momento è sotto pressione e i nuovi profughi andranno ad aggiungersi a quelli nei campi già presenti. Non è pensabile che possa esserci un’integrazione. D’altro canto ha tutto l’interesse a ottenere qualcosa in cambio: aiuti economici e cancellazione di parte del proprio debito, che è altissimo, a poche settimane dalle elezioni in programma a dicembre. Non va dimenticato, poi, che nonostante i rapporti stretti con l’intelligence israeliana, l’opinione pubblica egiziana sta dalla parte dei palestinesi, come tutte le opinioni pubbliche del mondo arabo», spiega Alessia Melcangi, professoressa associata di Storia del nord Africa e Medio oriente all’Università La Sapienza di Roma. «L’Egitto, però, mantiene un ruolo fondamentale a livello diplomatico di mediazione nella zona e vuole mantenerlo, nonostante in questo momento si sia affacciate nuove potenze regionali che aspirano a diventare protagoniste, come la Giordania, ma anche l’Arabia Saudita e il Qatar», aggiunge l’analista. Non a casa a fare da “garante” per l’apertura temporanea del valico di Rafah è stato proprio il Qatar, coinvolto nei negoziati insieme a Egitto e Stati Uniti, che ha ricevuto il via libera da Hamas e dalla Jihad islamica. A preoccupare, però, è soprattutto il rischio di un avvicinamento tra Hamas e l’Isis, che in Sinai è presente da tempo: «Infatti il Sinai è una zona che Il Cairo da tempo tiene difficilmente sotto controllo, complice l’organizzazione tribale di quella zona e la conformazione del territorio stesso. Lì si è insediata da diversi anni una cellula dell’Isis, l’Isis-Sinai, contro cui le forze militari di Al Sisi sono impegnate per impedire atti terroristici non solo in quella zona, ma che nella stessa capitale egiziana. Il raggio d’azione dell’Isis in Sinai è stato ridotto, ma non è ancora estirpato, quindi è chiaro che uno spill over di terroristi dalla Striscia potrebbe eventualmente rinforzare quello che è già presente in territorio egiziano. È questo che teme il governo del Cairo». Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu ha accostato in modo esplicito Hamas al terrorismo dello Stato islamico: «L’analogia principale sta nelle modalità efferate di attacco, ma il contesto in cui è nata Hamas è molto diverso, è sorta nella Striscia di Gaza, che vive una situazione di grossa difficoltà non solo ora, che è sotto assedio. Hamas non rappresenta tutti i palestinesi» osserva Melcangi. Proprio la popolazione a Gaza adesso è ancora più “intrappolata”. Israele ha esortato ad evacuare il nord della Striscia prima di un’offensiva massiccia, ma Hamas ha impedito ai residenti di lasciare la zona. «Le Nazioni Unite hanno dichiarato che l’operazione di Tel Aviv a Gaza è contro il diritto internazionale. È chiaro che ogni tipo di violenza deve essere condannata e Israele sta legittimamente tentando di scovare e perseguire gli autori dell’attacco del 7 ottobre, di neutralizzare ogni cellula terroristica che si è resa protagonista di un eccidio efferato, ma occorre anche ridurre al minimo i cosiddetti ‘effetti collaterali’, quindi il coinvolgimento della popolazione innocente. Occorre trovare una soluzione umanitaria, che è la priorità da affrontare oggi insieme alla necessità legale, legittima e giusta di Israele di evitare il ripetersi di quanto accaduto pochi giorni fa», conclude l’esperta.
Di Eleonora Lorusso

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