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“Non distinguiamo i bambini, anche da morti”

L’appello di Unicef Italia, di fronte alle immagini strazianti e ai racconti di violenze, torture e morte dei più piccoli, israeliani e palestinesi
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Le immagini che arrivano dal Medio Oriente sono drammatiche e sempre più spesso mostrano i bambini, vere vittime della guerra scoppiata tra Hamas e Israele: bambini israeliani, come quelli ostaggio di miliziani armati o già vittime di orribili violenze e decapitazioni; o bambini palestinesi, feriti e alle prese con carenza di cibo e acqua a Gaza. È il volto più duro del conflitto: «Quello che sta accadendo è fuori da ogni logica. Senza prendere posizione, ma ricordando cosa prevede la Convezione internazionale sui diritti dell’Infanzia, non possiamo che dire che è terribile distinguere tra i bambini, come ho sentito dire in alcuni dibattiti. Non è concepibile dividerli, persino da morti, tra palestinesi e israeliani. Noi dovremmo solo occuparci di far sì che non vivano questo incubo», osserva Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. Quanto avviene in Israele e a Gaza ripropone un tema delicato: «Come sempre quando ci sono le guerre e le catastrofi naturali il mondo si ricorda che i bambini e le bambine purtroppo pagano il prezzo più alto. Stiamo assistendo obiettivamente ad atrocità mai viste, anche se scenari simili ci sono anche in altre parti del mondo, proprio in questo momento e nell’indifferenza globale che ha permesso di arrivare a tutto questo», sottolinea Iacomini. «Questo conflitto ci ha messo di fronte a immagini di morte che sembra di vedere per la prima volta, come quelle di bambini decapitati che non dovremmo vedere mai, è qualcosa di assurdo; o immagini di bambini innocenti che, dall’altra parte, sono bombardati insieme alle loro mamme. Proprio per rispetto di questi bambini, quello che non noi come padri, madri, nonne o semplici persone comuni non dobbiamo fare è distinguerli, anche quando sono morti, specie ora che viviamo qualcosa di proporzioni enormi», prosegue il portavoce di Unicef Italia. Il pensiero è anche al futuro dei più piccoli: «Le grandi organizzazioni internazionali, compresa Unicef, fanno un grande lavoro nell’ aiuto psicosociale a tutti questi bambini che hanno visto ciò che non avrebbero dovuto vedere, anche per esempio Ucraina. Sono giovanissimi che hanno subito traumi di ogni genere, hanno visto bombe cadere vicino alle loro case, genitori andare via o morire davanti ai loro occhi o mutilati, hanno perso un fratello o un amico caro. Noi cerchiamo di supportarli ogni giorno, cercando di dar loro normalità. Ma occorre anche aiutarli questi in una crescita che non sia fondata sull’odio. È un lavoro molto difficile – spiega Iacomini – Quando un bambino, da una parte e dall’altra e non solo nel conflitto israelo-palestinese, subisce tutto questo, come crescerà? Come saranno i suoi occhi se non iniettati di odio, rabbia e sete di vendetta? Quanto è difficile spegnere questi sentimenti? ». «Il lavoro enorme da fare è proprio di far crescere delle generazioni che imparino a non convivere con l’idea di dover vendicare quella precedente. È sicuramente è un’impresa titanica, ma va portata avanti. In questa zona di conflitto c’erano già tanti progetti in atto, proprio sulla cultura della pace. È di quei progetti che occorre raccontare, di quelle famiglie che vi hanno aderito, israeliane e palestinesi, perché è da quei semi che si può ripartire. Altrimenti è vero che dall’odio nasce odio, dalla morte deriva altra morte e questo non lo possiamo permettere», esorta Iacomini. Di Eleonora Lorusso

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