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Suoni ed echi napoletani, parla Dario Bassolino

Le parole di Bassolino, esponente della nuova scena musicale partenopea che con il suo ultimo album “Città futura” tenta di indagare una città ingabbiata in contraddizioni

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Napoli e la sua cultura sembrano sempre argomenti saturati. Ma quando pare che si sia detto tutto, spunta un elemento mancante nella corretta interpretazione della sua anima multiforme, anarchica, geniale e contraddittoria.

La musica, più di tutto, incarna questo groviglio. Dal rap di Geolier nell’ultimo Sanremo al neomelodico che travalica i confini, all’incognita di Liberato fino ad arrivare al “Napoli sound” o “sound mediterraneo”. Uno stile unico nato con il preciso intento di rileggere e riattualizzare in modo appassionato la cultura pop di un decennio che ha segnato per sempre la città: gli anni Settanta. È in quel periodo che Napoli rinasce attraverso il teatro (“La Smorfia” di Enzo Decaro, Lello Arena e Massimo Troisi prende vita proprio nel 1970) e la musica, che diventa ruvida e nera come gli americani e gli africani che sono sbarcati in quell’enorme e accogliente porto partenopeo. Nel 1975 un giovanissimo Pino Daniele viene ingaggiato al basso dai Napoli Centrale per le registrazioni di “Qualcosa ca nu’ mmore” e inizia il suo viaggio senza fine verso l’Olimpo.

Nel 2024 questa matassa inestricabile di storie riacquisisce voce anche grazie ad artisti come Bassolino (all’anagrafe Dario Bassolino), esponente della nuova e vivacissima scena musicale partenopea, che con il suo ultimo album – dal titolo inequivocabile “Città futura” per Periodica Records– tenta di indagare una città ancora ingabbiata in contraddizioni e falsi miti. È un lavoro costruito come se fosse una colonna sonora, immaginando una piazza Mercato brulicante di voci: «Ho una grande passione per il cinema e per la scrittura in generale, oltre che per la musica. E quindi ho immaginato questo album proprio come una sceneggiatura che magari un giorno qualcuno vorrà veramente mettere in scena» racconta Bassolino.

Prodotto insieme a Paolo Petrella, l’album è arricchito da un gruppo di cantanti e musicisti – fra cui Linda Feki (Lndfk) e Andrea De Fazio (batterista dei Nu Genea) – che dialogano fra loro mantenendo le rispettive identità: «Alla base c’è una forte idea di collettivo: ogni strumentista ha il suo spazio espressivo cercando di rompere determinati stereotipi di genere e provando a disinnescare il rischio di un effetto revival. La sfida è tutta lì» spiega. Il termine revival riecheggia quando ci si riappropria di suoni del passato, ma Bassolino è chiaro: «Sono un po’ contro questa definizione perché è legata soltanto all’estetica. Il processo per me è stato di immedesimazione in anni di fermento della nostra città, provando a studiare l’animo e i suoni di quei tempi per trasportarli all’oggi».

Napoli è una città vittima e carnefice della propria storia, che ha visto intrecciarsi storie, guerre e cambiamenti da vera spettatrice del golfo: «Nel mio piccolo ho provato a rendere nobile la nostra storia. Un esempio è Mario Merola, per anni considerato erroneamente il protagonista di un filone né artistico né elegante» osserva Bassolino, ricordando l’edizione del Festival di Sanremo del 2000 in cui Bono Vox si inchinò di fronte a ‘sua maestà’ Merola.

«La gente deve capire che, oltre alla musica pop e a “Gomorra”, c’è una Napoli nobile, pregna di arte e di storia, che merita di essere ascoltata e non più svilita nei soliti fenomeni spesso un po’ grotteschi».

di Raffaela Mercurio

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