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Cento anni fa nasceva Walter Chiari, il bello che sapeva far ridere

Walter Chiari, un mix di radici pugliesi e influenze lombardo-venete, 112 film all’attivo e una formidabile carriera come improvvisatore in televisione e attore di teatro

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Cento anni fa nasceva Walter Chiari, il bello che sapeva far ridere

Walter Chiari, un mix di radici pugliesi e influenze lombardo-venete, 112 film all’attivo e una formidabile carriera come improvvisatore in televisione e attore di teatro

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Cento anni fa nasceva Walter Chiari, il bello che sapeva far ridere

Walter Chiari, un mix di radici pugliesi e influenze lombardo-venete, 112 film all’attivo e una formidabile carriera come improvvisatore in televisione e attore di teatro

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Walter Chiari, un mix di radici pugliesi e influenze lombardo-venete, 112 film all’attivo e una formidabile carriera come improvvisatore in televisione e attore di teatro

Maggio 1970. Al settimo reparto del carcere romano di Regina Coeli qualcuno non si dà pace. È una persona elegante, perbene, catapultata suo malgrado nella prigione del Lungotevere con un’accusa infamante: spaccio e detenzione di droga. È un musicista (lo chiamano “Signore dello swing”), fra gli uomini di spettacolo più amati e popolari del momento. Si chiama Lelio Luttazzi ed è innocente. Nel suo intenso memoriale (“Operazione Montecristo”, Mursia editore), il triestino racconta di quei 27 giorni di ingiusta detenzione. Rabbia che cova grazie a due semplici ingredienti: l’ingiustizia subita e l’assurda scelta di un amico di non confermare in istruttoria che «quella telefonata a una persona poi rivelatasi uno spacciatore» (il povero Lelio ignorava con chi avesse a che fare) dall’utenza di Luttazzi era stata fatta su sua esplicita e insistente richiesta. Quell’amico si chiamava Walter Chiari, che per quella vicenda finì in carcere e fu condannato per detenzione di stupefacenti. Luttazzi alla fine lo perdonò («Come si fa a non perdonare uno come lui?»), ma mai più si riprese dall’incancellabile trauma. Una ferita che avrebbe sanguinato per sempre. È la grande pecca (in mezzo ad altre molto più perdonabili) di un talento straordinario, di un funambolo dello spettacolo brillante, di un affabulatore come davvero pochi: Walter
Chiari, un mix di radici pugliesi e influenze lombardo-venete, 112 film all’attivo e una formidabile carriera come improvvisatore in televisione e attore in teatr
o (superbo nell’opera beckettiana). Perché nonostante l’avvenenza, la fisicità e la vis comica, la sua resta una superba arte della parola.

Oggi sono 100 anni dalla sua nascita e il grande artista meriterebbe di essere oggetto di un lavoro di serio ripescaggio e revisione: mettere un po’ da parte i suoi film (non tutti, ovviamente), lasciare perdere il gossip (sì, lo sappiamo che ebbe una relazione con la splendida Ava Gardner), deporre nel cestino dei rifiuti i vizi, le dipendenze e gli abusi dell’uomo (che negli anni Ottanta gli costarono un’ulteriore accusa penale da cui fu totalmente scagionato), per concentrarsi su quanto di straordinario l’artista veronese fece nelle sue apparizioni in tv. Mettiamo da parte anche la stracelebrata e divertentissima gag del Sarchiapone” (assieme all’indimenticato Carlo Campanini) e distilliamo la sua pura arte di parola: Walter Chiari fu un fine e torrenziale monologhista, capace di narrazioni brillanti con vivaci digressioni nonostante la feroce perimetratura dei tempi televisivi.

Fu in qualche modo un anticipatore della stand-up comedy (anche se con toni non aggressivi e meno sprezzanti), battitore libero della narrazione di flusso. Un dicitore dalla voce che sembrava fatta di segatura, capace di trasformare il suo bel volto in una maschera grottesca e surreale. Fu il primo a portare in prima serata Rai un monologo sulla nudità maschile («L’uomo nudo è brutto da vedere») o a parlare di problemi ecologici come nel “Monologo del bicchiere d’acqua” (in cui immagina il regresso di un uomo a scimmia, dopo aver bevuto un semplice bicchiere di acqua liscia impregnato dei veleni dei gas di scarico delle auto e dei deodoranti delle signore). A trentatré anni dalla morte sarebbe forse ora di riappropriarci del meglio offerto da questo artista, riscoprendone i momenti creativi più alti, ricchi, moderni. È ancora troppo presto per dimenticare.

Di McGraffio

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