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Elliott Erwitt, la sua ironia prima di tutto

Come nasce la passione per la fotografia? “Con la timidezza “diceva Elliott Erwitt. Nessun altro fotografo è riuscito a far sorridere quanto lui.
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Elliott Erwitt, la sua ironia prima di tutto

Come nasce la passione per la fotografia? “Con la timidezza “diceva Elliott Erwitt. Nessun altro fotografo è riuscito a far sorridere quanto lui.
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Elliott Erwitt, la sua ironia prima di tutto

Come nasce la passione per la fotografia? “Con la timidezza “diceva Elliott Erwitt. Nessun altro fotografo è riuscito a far sorridere quanto lui.
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Come nasce la passione per la fotografia? “Con la timidezza “diceva Elliott Erwitt. Nessun altro fotografo è riuscito a far sorridere quanto lui.
Nessun altro fotografo è riuscito a far sorridere quanto lui. Insieme a scatti di grande intensità (fra i suoi preferiti quello del bambino di colore che si punta una pistola giocattolo alla tempia), impossibile non aver visto e amato la sua sterminata e divertentissima serie di immagini sui cani, piccoli e grandi, acconciati dal parrucchiere e sui bastardi pulciosi, in casa e per strada, con il padrone o da soli. Elliott Erwitt nasce a Parigi il 26 luglio del 1928 da una famiglia di emigrati russi che si trasferisce a Roma e ci resta per dieci anni, prima di stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti. Come nasce la passione per la fotografia? Secondo lui con la timidezza: «Al liceo ho scoperto quanto una macchina fotografica ti faccia sentire a tuo agio in situazioni in cui non lo saresti mai: a quell’età era alle feste organizzate dalla scuola, molto tempo dopo alla Casa Bianca o nei meandri del Cremlino». Mise le sue foto al servizio della Farm Security Administration per un lavoro sulla Standard Oil, poi per varie riviste e aziende come la Klm e Air France, prima di entrare a far parte nel 1953 dell’agenzia fotografica Magnum, dove si ritrovò in mezzo agli eroi che aveva sempre ammirato come Henri Cartier Bresson e Robert Capa. Continuò in ogni caso a lavorare a modo suo: «Mi vergogno un po’ a dirlo, ma quando mi incaricano di fare un ritratto, uso uno stratagemma: tengo in tasca una trombetta per la bici. Se il soggetto da fotografare ha l’aria arcigna o distante, io suono. Serve a rompere il ghiaccio. È stupido, ma funziona. Con Kruschev ha funzionato. Volevo che si voltasse a guardarmi, ho suonato, si è voltato verso quel rumore bizzarro e click, ho scattato la foto. Non si è arrabbiato». Oltre alle immagini iconiche con cui ha prodotto innumerevoli libri di grande successo – come quelle di Marilyn Monroe o Che Guevara – si è lungamente occupato anche di cinema: numerosi i documentari, lungometraggi e spot televisivi. Nel 2011 a New York gli fu dedicato l’evento “An evening with Elliott Erwitt” con la proiezione di tutti i suoi film, a cominciare da quello del 1970 sul regista Arthur Penn. Ha anche interpretato sé stesso in “Elliott Erwitt: I bark at dogs” ed è stato soggetto di un documentario sulla carriera dal titolo “Elliott Erwitt: il silenzio ha un bel suono”, del 2019. La vita privata è stata alquanto tempestosa. Dal primo matrimonio ha avuto quattro figli e il conseguente divorzio fu per lui un momento di grande crisi, aggravato da un incendio che distrusse la casa di famiglia con quasi tutto il suo archivio. Sono seguiti altri tre matrimoni, (con annessi gli inevitabili, vertiginosi alti e bassi), sei figli e parecchi nipoti. Grazie all’intensa attività che ha svolto in tutto il mondo, nonostante l’incendio il suo archivio è immenso: circa 600mila negativi che ultimamente ha voluto rivedere per tirarne fuori una nuova selezione di 1.850 immagini. Dalle quali, dopo un’ulteriore scelta, ha estratto la raccolta per il suo ultimo libro del 2018 – “Fotografie ritrovate, non perse” – nel quale l’ironia appare più pacata, più dolce, come se la carriera di un grande fotografo di 92 anni celebrato nei più importanti musei del mondo cercasse la quiete con discrezione. di Roberto Vignoli

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