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Erika Langley: con tutta se stessa

La fotografa Erika Langley, pur di realizzare un reportage in un locale a luci rosse, accetta di crearsi una nuova identità – Virginia il suo nome – e lavorare lì per ben 12 anni
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Erika Langley: con tutta se stessa

La fotografa Erika Langley, pur di realizzare un reportage in un locale a luci rosse, accetta di crearsi una nuova identità – Virginia il suo nome – e lavorare lì per ben 12 anni
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Erika Langley: con tutta se stessa

La fotografa Erika Langley, pur di realizzare un reportage in un locale a luci rosse, accetta di crearsi una nuova identità – Virginia il suo nome – e lavorare lì per ben 12 anni
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La fotografa Erika Langley, pur di realizzare un reportage in un locale a luci rosse, accetta di crearsi una nuova identità – Virginia il suo nome – e lavorare lì per ben 12 anni
Uno dei fenomeni di erosione più devastanti della Terra avviene a North Cove, in America, sulla costa dello Stato di Washington. È soprannominato “Washaway beach” (che vuol dire più o meno “spiaggia lavata via”) e ogni anno 30 metri di terreno finiscono nell’oceano: dall’inizio del Novecento le acque del Pacifico si sono portate via più di 60 immobili residenziali e oltre 800 ettari di costa. A documentare con appassionata meticolosità questo fenomeno è la fotografa Erika Langley, che ha persino comprato una proprietà in prossimità degli smottamenti per poterli osservare meglio, attratta da quella che definisce una «bellezza terribile». Erika nasce ad Arlington in Virginia nel 1967 e si laurea in fotografia alla Rhode Island School of Design. Lavora in quella zona come photoreporter fino al 1992, ma senza grandi soddisfazioni: i photo editor non fanno che ripeterle che i suoi scatti sono «competenti ma di livello medio». Decide quindi di dare un colpo di spugna a questa situazione frustrante e si trasferisce a Seattle, dove intende documentare i locali a luci rosse «per raccontare storie di donne che non fanno ciò che la società si aspetta da loro». Sceglie il “Lusty Lady”, un locale con una direzione tutta femminile e relativamente meno sottoposto alle leggi dello sfruttamento. Ma non è così semplice, le viene risposto che non avrà nessun accesso per realizzare il suo reportage se non come ballerina. Inizialmente questo ostacolo le sembra insormontabile, ma il pensiero di continuare a produrre foto «competenti ma di livello medio» la spinge ad accettare. Il nome di battaglia per la sua nuova vita è Virginia e si ritrova in un ambiente assolutamente insospettabile. Le altre ragazze le vogliono un gran bene e c’è molta allegria, anche perché lo sfruttamento viene visto rovesciato: nella percezione di queste donne c’è un’idea di potenza sessuale con cui sfruttare gli uomini che Erika-Virginia in breve fa sua, buttandosi anima e corpo nello spogliarello. Resta a lavorare in quel locale per ben 12 anni realizzando un lavoro mastodontico e soprattutto unico, non soltanto per la qualità delle foto ma per la possibilità di esplorare le singole vite di tutte le sue compagne, che ritrae nei momenti della vita quotidiana in tutta la loro semplicità e umanità. Undietro le quinteprivo di trucco, anche nel senso letterale dell’espressione, e con tutto l’incredibile bagaglio di esperienze dovute anche alle confidenze assai intime e per nulla consuete dei clienti abituali. Ne esce un libro di cui Erika Langley è autrice anche per i testi: “The Lusty Lady”, pubblicato a Zurigo dall’editore Scalo nel 1998, diventa un caso editoriale che la prestigiosa rivistaPhoto” presenta con pagine di elogio, trattandosi di un reportage per niente “medio” ma di assoluta eccellenza. È ancora il tempo della pellicola e quelle ad alta sensibilità mostrano la grana”, che in qualche misura adesso viene rimpianta per la sua qualità e il fascino che sapeva regalare alle immagini (tant’è vero che gli ingegneri informatici ne hanno ricreato l’effetto attraverso un software dedicato). Nel suo lavoro al “Lusty Lady” Erika ne esalta le qualità, evitando di usare il flash anche per conservare le luci e le atmosfere che ha documentato – letteralmente – con tutta sé stessa, come in una canzone di De André.   di Roberto Vignoli

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