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Fratelli Alinari, l’eccellenza del più antico archivio fotografico al mondo

Nel 1852 nacque il più antico archivio fotografico del mondo, grazie ai geniali fratelli Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari. Fu la prima ditta ammessa a documentare i Musei Vaticani, il Louvre e molti altri.
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Fratelli Alinari, l’eccellenza del più antico archivio fotografico al mondo

Nel 1852 nacque il più antico archivio fotografico del mondo, grazie ai geniali fratelli Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari. Fu la prima ditta ammessa a documentare i Musei Vaticani, il Louvre e molti altri.
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Fratelli Alinari, l’eccellenza del più antico archivio fotografico al mondo

Nel 1852 nacque il più antico archivio fotografico del mondo, grazie ai geniali fratelli Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari. Fu la prima ditta ammessa a documentare i Musei Vaticani, il Louvre e molti altri.
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Nel 1852 nacque il più antico archivio fotografico del mondo, grazie ai geniali fratelli Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari. Fu la prima ditta ammessa a documentare i Musei Vaticani, il Louvre e molti altri.
Fratelli Alinari? «La più antica azienda fotografica del mondo», sentenzia il British Museum. Un archivio di 5 milioni e mezzo di immagini originali di ritratti, paesaggi naturalistici, urbani e industriali, riproduzioni di opere d’arte, vita quotidiana dei popoli in Italia e nel mondo, nel quale sono confluite collezioni prestigiose come quelle dell’Ansa, di Folco Quilici, di Fosco Maraini, del Touring Club Italiano, della prestigiosa agenzia francese Roger-Viollet e di innumerevoli altre. Una parte di queste, oltre a essere state digitalizzate ad altissima risoluzione, sono state duplicate su una pellicola speciale e conservate in una miniera nelle isole Svalbard, vicino al Polo Nord, così possiamo stare tranquilli che per almeno altri 500 anni ce le possiamo godere sfacciatamente con intatta qualità. L’azienda fiorentina nacque nel 1852 grazie ai geniali fratelli Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari, che riuscirono a raggiungere un’eccellenza tale da essere la prima ditta ammessa a documentare i Musei Vaticani, il Louvre e molti altri. Un’eccellenza contagiosa: Luigi Capuana, che si trovò a fare il corrispondente per il “Corriere della Sera” al tempo in cui Firenze era capitale d’Italia, rimase folgorato dalla maestria dei tre fratelli e s’innamorò perdutamente della fotografia fino a diventare bravissimo; Émile Zola, suo amico e anch’egli grande appassionato, gli chiese di documentare le donne della Roma popolare per potersene avvalere nella descrizione di un libro. Non contento, Capuana convinse anche gli altri due scrittori della ‘triade dei catanesi’ – Giovanni Verga e Federico De Roberto (che tra l’altro era nato a Napoli) – a cimentarsi in quest’arte nuova e i tre amici divennero così bravi che Luchino Visconti decise di girare “La terra trema” dopo aver visto le foto dei pescatori siciliani scattate da Verga; De Roberto, forse il più bravo dei tre, davvero sublime, collaborò costantemente con “La Lettura”, l’inserto del “Corriere della Sera”. Il figlio di Leopoldo, Vittorio, consentì una notevole espansione della “Fratelli Alinari”, grazie a un assiduo lavoro di editoria – a partire dall’edizione illustrata della “Divina Commedia” di Dante – e per un uso della prospettiva nei suoi scatti su lastre di grande formato che per certi versi anticipava di parecchi anni la regola d’arte della fotografia di architettura. Per tutto il Novecento l’Alinari è stata la principale risorsa d’immagini dell’editoria italiana. Ma la sua storia ha visto molti passaggi di proprietà: nel 1920 a una cordata di aristocratici toscani guidati dal barone Ricasoli, nel 1957 al senatore Vittorio Cini, nel 1975 alla famiglia Zevi, nel 1982 alla famiglia triestina De Polo, nel 2019 alla Regione Toscana che ha creato la Fondazione Alinari per la Fotografia. Il suo patrimonio è costituito anche da una ricchissima biblioteca e da una notevole collezione di apparecchiature fotografiche e di macchine da stampa artigianale. Tutto questo, oltre naturalmente all’archivio digitale di alinari.it, attualmente è conservato a Calenzano in attesa di una collocazione definitiva a Villa Fabbricotti, in via Vittorio Emanuele II a Firenze.   di Roberto Vignoli

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