Immergersi nella natura vergine e condividere la vita dei selvaggi, lontano dagli obblighi della civiltà industriale. Questo il sogno di Paul Gauguin prima di partire per la Polinesia, un viaggio che ha cambiato la vita del pittore transalpino e più in generale la storia dell’arte. È il primo aprile 1891 quando, a bordo della nave Océanien, Gauguin lascia Marsiglia diretto a Tahiti: ai Tropici resterà quasi senza intervalli fino alla morte, dodici anni di ricerca e di capolavori custoditi oggi in giro per il mondo, tra il Metropolitan Museum di New York al Chicago Art Institute, passando per il Museum of Fine Arts di Boston e la National Gallery of Art di Washington.
Abbandonata la sua Parigi conformista, invasa dall’impressionismo, Gauguin sceglie Tahiti e inizialmente ne rimane deluso. La realtà è molto diversa da quella raccontata dai primi europei che l’avevano visitata: Papeete è una città squallida, che ha archiviato la libertà sessuale e ha adattato i tradizionali canti locali alle liturgie cristiane. Per questo motivo il pittore francese si sposta in un luogo remoto della costa occidentale, a 45 km dalla città, dove trova popolazioni autentiche, incontaminate. A Mataiea vive in modo animale e inizia a sfornare dipinti con una velocità impressionante: venti tele nel giro di pochi mesi, l’inizio della rivoluzione nella storia dell’arte.
L’autenticità, la natura lussureggiante, i colori puri e accesi – arancioni e rossi vibranti, ma anche i blu e i viola – la sensualità esotica delle donne. Prima di dipingere, Gauguin osserva la realtà tahitiana e il suo incanto seducente, celebra i corpi e la solennità dei luoghi, il lato antico e quello religioso. Vive l’amore in maniera estremamente libera e innocente, trovando un’apertura verso la vita che non ha mai avuto prima. Da pittore si evolve in alchimista, trasformando ogni cosa e la sua arte: archivia così la povertà e il colonialismo, dipingendo un mondo perfetto e privo di sofferenze.
L’amicizia con van Gogh è un fattore significativo nel percorso artistico con Gauguin, ma è soprattutto l’ambizione a interpretare un ruolo da protagonista. Il salto di qualità coincide con l’ennesimo fallimento di una sua mostra parigina: non pensa più ai contemporanei, ma inizia a dipingere nel futuro, con l’unico obiettivo di mettere la firma su qualcosa di mai visto prima. Il desiderio è quello di rendere la sua arte eterna e utilizza la cultura polinesiana come veicolo attraverso cui esprimere verità più grandi, spirituali e misteriose. L’ultimo passaggio cruciale della vita di Gauguin è rappresentato dal tentato suicidio di fine 1897: quando riemerge dalla morte, è un altro uomo e inanella una serie di dipinti eccezionali, con visioni cercate per tutta la vita. Gauguin morirà sei anni più tardi a Hiva Oa, nelle Isole Marchesi, sua ultima patria.
Il viaggio a Tahiti ha cambiato il corso dell’arte, ma purtroppo di Gauguin non è rimasto nulla in Polinesia, se non qualche opera minore (tre tele, quattro incisioni e alcune ceramiche), foto d’epoca e vari memorabilia. I suoi ultimi dipinti si sono invece trasformati in cenere, bruciati dal vescovo di Hiva Oa perché osceni. Un errore di valutazione marchiano. Il resto è storia, anzi la Storia.
di Massimo Balsamo
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