Gordon Parks, tutto il nero del razzismo
Gordon Parks, il primo fotografo nero di “Vogue”, il primo photoreporter nero di “Life” e il primo regista nero
| Cultura
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Gordon Parks, il primo fotografo nero di “Vogue”, il primo photoreporter nero di “Life” e il primo regista nero
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Gordon Parks, il primo fotografo nero di “Vogue”, il primo photoreporter nero di “Life” e il primo regista nero
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Gordon Parks, il primo fotografo nero di “Vogue”, il primo photoreporter nero di “Life” e il primo regista nero
È difficile conoscere qualcuno a cui non piaccia andare al cinema e vedere quello che, secondo i suoi gusti, è un bel film. Se poi è troppo pigro per spostarsi, di sicuro apprezza la visione televisiva. Fra i vari ingredienti che hanno determinato il successo della settimana arte c’è quello di aver riunito la fotografia, la letteratura e la musica.
L’afroamericano Gordon Parks – fotografo, scrittore, musicista e quindi quasi inevitabilmente anche regista – nasce nel 1912 a Fort Scott (Kansas) in una famiglia poverissima. Dopo la morte della madre va a vivere nel Minnesota da una zia, ma dura poco e deve cavarsela da solo. È costretto a fare mille lavori, fra i quali suonare il pianoforte in un bordello. La sera va a dormire in un autobus. Nel 1938 compra una macchina fotografica e davanti a sé si spalanca una nuova incredibile vita: si trasferisce a Chicago e, già bravissimo, fotografa le signore dell’alta società. Nel 1942 vince una borsa di studio in fotografia e diventa assistente di Roy Stryker, il direttore della Farm Security Administration, l’immenso progetto voluto da Roosevelt (che come già scritto su queste pagine era scaturito nell’Ottocento da un’idea dello scrittore-fotografo August Strindberg). Stryker lo inserisce subito nel pool di fotografi che documentano la durissima vita dei contadini nel Nord America e lui realizza la sua foto più famosa, dal titolo “American Gothic”, con una donna di colore che impugna una scopa e uno spazzolone: una parodia del celebre, omonimo dipinto di Grant Wood del 1938.
Nel 1944 Parks diventa collaboratore di “Vogue” e quattro anni dopo entra a far parte della redazione di “Life”, pubblicando servizi completi di testi e foto: per la prima volta compaiono immagini di vita quotidiana fra le mura domestiche dei ghetti, dove i bianchi non avevano accesso. Ritrae i protagonisti dell’epoca come Malcom X, Muhammad Alì e Martin Luther King. Dirige una serie di documentari sui ghetti afroamericani e grazie a una serie di consulenze per le major di Hollywood s’inserisce nel mondo del cinema. Scrive anche libri e un suo romanzo – “The learning tree” (titolo in italiano “Ragazzo la tua pelle scotta”) – colpisce l’attenzione di John Cassavetes, che lo convince a realizzare il suo primo film. Ma è con la sua seconda pellicola che avviene il miracolo: “Shaft il detective” è un grande successo commerciale a cui ne seguono altri due, protagonisti di quel genere chiamato blaxploitation (sfruttamento dei neri).
Dai tempi del pianoforte nei bordelli non ha mai abbandonato la musica. Nel 1953 compone “Concerto for piano and orchestra” e nel 1967 “Tree Symphony”; nel 1989 offre il suo contributo alla memoria di Martin Luther King e realizza il balletto “Martin”, di cui crea anche le coreografie.
Il suo impegno civile per combattere le discriminazioni razziali è sempre stato il motore dirompente della sua stupenda creatività e si dispiaceva di essere stato il primo fotografo nero di “Vogue”, il primo photoreporter nero di “Life” e il primo regista nero perché c’erano altri neri con più talento di lui che avrebbero meritato il suo successo. Gordon Parks morirà di cancro nel 2006, a 93 anni, a New York. Suo figlio Gordon Parks junior è un regista altrettanto bravo e il suo “Superfly”, inevitabilmente del genere della blaxploitation, è un altro cult movie.
di Roberto Vignoli
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