Guerra civile, un monito che condiziona l’immaginario americano
La democrazia notoriamente è un regime fragile, che si regge sul legittimato consenso dei cittadini. Il confronto politico Usa sembra precipitato in un buco nero di estremismo che sovverte i princìpi democratici

Guerra civile, un monito che condiziona l’immaginario americano
La democrazia notoriamente è un regime fragile, che si regge sul legittimato consenso dei cittadini. Il confronto politico Usa sembra precipitato in un buco nero di estremismo che sovverte i princìpi democratici
Guerra civile, un monito che condiziona l’immaginario americano
La democrazia notoriamente è un regime fragile, che si regge sul legittimato consenso dei cittadini. Il confronto politico Usa sembra precipitato in un buco nero di estremismo che sovverte i princìpi democratici
La democrazia notoriamente è un regime fragile, che si regge sul legittimato consenso dei cittadini. Quello di tipo maggioritario: è la regola per evitare soprassalti autoritari. Pur ammettendoli rifugge gli estremismi, perché laddove dovessero prevalere sovvertirebbero la pacifica convivenza. Negli Usa di Donald Trump sta succedendo proprio questo: anziché ‘pacificata’, la società vive tensioni profonde determinate da un uso che potremmo definire ‘fondamentalista’ del potere che minaccia di avere esiti eversivi.
L’esempio texano
L’esempio più attuale è il Texas, dove la Casa Bianca ha chiesto al governatore repubblicano Greg Abbott di ridisegnare i collegi elettorali dello Stato in modo da garantire la vittoria dei repubblicani alle elezioni di midterm. Contro questa decisione si sono schierati i deputati locali dei Democratici che – pur di non consentire al governatore di portare a termine il diktat di Washington – prima hanno fatto ostruzionismo, poi sono letteralmente fuggiti a bordo di pullman dal Texas per rifugiarsi in altri Stati retti da governatori democratici, in modo da impedire la convocazione del Parlamento che ha sede nella capitale Austin. Per ritorsione, Abbott ha ordinato l’arresto dei deputati ribelli. Misura estrema, appunto, benché poco efficace perché non valida oltre i confini texani.
Quel che impressiona è lo scontro senza apparenti capacità di mediazione. E questo perché il confronto politico Usa sembra precipitato in un buco nero di estremismo che sovverte i princìpi democratici su cui si regge da sempre la Nazione.
Non che in passato non ci siano stati altri presidenti in qualche misura estremisti, almeno agli occhi dei loro antagonisti. Nixon era estremista e pure Carter lo era, ma nessuno dei due si sognava di voler annichilire chi lo contrastava usando o addirittura usurpando i poteri che la Costituzione assegna. Adesso invece il radicalismo distorto di Trump, in base al quale la legittimazione elettorale supera qualunque confine e limite, minaccia di avviare gli Usa su un sentiero che può creare i presupposti di una guerra civile. Detta così sembra fantascienza eppure, se viene meno il legittimo riconoscimento fra avversari, uno sbocco del genere diventa reale. Con tutto quel che consegue.
Guerra civile, il caso del film di Alex Garland
Chi conosce la storia americana sa che gli Stati Uniti sono nati da una guerra civile e non è detto che non possano finire seguendo lo stesso copione. Segnali che qualcosa di così spaventoso serpeggi nell’immaginario collettivo arrivano, come spesso capita, dai film. “Civil War”, pellicola del 2024 (!) scritta e diretta dal regista Alex Garland, racconta quel tipo di tragico epilogo dove, per ripescare il vecchio Marx della “Critica alla filosofia del diritto di Hegel”, l’arma della critica viene sostituita dalla critica delle armi. Il padre del comunismo lo intendeva come forcipe rivoluzionario; invece il pericolo è che diventi la lapide del sistema liberal-democratico. Può apparire una visione tanto inverosimile quanto distopica. Ma se torniamo con la mente all’assalto di tipo insurrezionalista di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, allora lo scenario di conflitto armato acquista una dimensione di tragica concretezza.
Non è chiaro come si concluderà la vicenda texana. Un brivido freddo corre per la schiena sentendo il governatore democratico della California sostenere che agli affondi di Trump è necessario «rispondere al fuoco con il fuoco». Le parole sono pietre: qui sembrano pallottole che fischiano.
Trasportando i concetti da una sponda all’altra dell’Atlantico, non è fuorviante ritenere che il sistema presidenziale vada bene quando le società sono pacificate, quando cioè il cambio di potere avviene all’insegna del rispetto e della condivisione di mezzi e fini. Se al contrario le società sono in preda ai contrasti e l’estremismo prevale, il presidenzialismo diventa una miscela potenzialmente terribile di amplificazione dei conflitti, senza che ci siano più istituzioni in grado di frenarli. Vale anche per la magistratura, a sua volta trascinata nella guerriglia politico-ideologica. Chissà se a qualcuno dalle nostre parti fischiano le orecchie.
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