Harry Potter senza Rowling
L’ultimo delirio woke in un museo americano: esporre i cimeli del maghetto, cancellando “quella bigotta transfobica dell’autrice”. Prepararsi all’arte di regime
| Cultura
Harry Potter senza Rowling
L’ultimo delirio woke in un museo americano: esporre i cimeli del maghetto, cancellando “quella bigotta transfobica dell’autrice”. Prepararsi all’arte di regime
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Harry Potter senza Rowling
L’ultimo delirio woke in un museo americano: esporre i cimeli del maghetto, cancellando “quella bigotta transfobica dell’autrice”. Prepararsi all’arte di regime
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L’ultimo delirio woke in un museo americano: esporre i cimeli del maghetto, cancellando “quella bigotta transfobica dell’autrice”. Prepararsi all’arte di regime
Forse il fanatismo woke non è che umorismo dell’assurdo, col livore al posto dell’ironia. Tema del giorno: smaterializzare J. K. Rowling. Il comico ringrazia per lo spunto e ci fa uno sketch (che magari funziona pure), il buonista una crociata. Una delirante ossessione. «Ci piacerebbe credere che i libri di Harry Potter siano senza autore» è il desiderio del Museum of Pop Culture di Seattle. «Tuttavia le opinioni di questa certa persona sono troppo odiose e divisive per essere ignorate. Quindi d’ora in avanti la chiameremo Colei-che-non-deve-essere-nominata»: la scrittrice come il cattivo della sua stessa serie. «Lei non troverà più spazio nelle nostre sale. Ma continueremo a esporre i cimeli del mondo dei maghi: ormai appartiene a tutti».
Verrebbe quasi da stare al gioco e non nominare più gli indignati in questione. Mica perché “non si deve”: si lasci la cancel culture a questo carneade del panorama museale, noto più per l’avveniristica struttura progettata da Frank Gehry che per i contenuti da Hard Rock Cafe. Ma il monito è che la caccia al proverbiale quarto d’ora di celebrità – cavalcando l’onda grossa dell’inclusivity – non diventi un precedente pericoloso, dal MoMa alla Tate Modern. Picasso, Gauguin: la lista nera è già partita. L’aggravante, nel caso di Rowling, è che non si contestano delle riprovevoli condotte di vita ma si manda a processo il pensiero libero. «È una personalità nociva» continua la nota del museo redatta da Chris Moore, project manager transgender. Così l’attivismo di J. K. per i diritti delle donne diventa «una pericolosa campagna transfobica»; la sua lettera contro il boicottaggio culturale di Israele, anno 2015, viene stravolta in un fantomatico «supporto a creatori antisemiti»; l’universo di Hogwarts finisce bollato come «incredibilmente bianco» – toh guarda, l’Inghilterra – o «pieno di stereotipi razzisti», e pazienza se le istanze purosangue sono prerogative di Voldemort. Una sfilza di calunnie. Senza contare che la tesi di Moore spalanca le porte all’arte di regime: si sceglie chi e cosa mettere in mostra in base al diktat. All’ideologia.
A questo punto lasciamo la parola a Rowling, che mesi fa era già stata attaccata da una content creator del museo di Seattle. «I veri virtuosi – twittava la scrittrice – non brucerebbero soltanto i libri e i film associati al mio nome. Ma pure la libreria locale e qualunque cosa con un gufo sopra». Della serie: coraggio, potete fare di meglio. Anche nella “Divina Commedia” è superfluo ogni riferimento a Dante per sapere che è di Dante, che è di tutti. E ciò che appartiene a tutti, si dica al MoPop, sviluppa un meraviglioso potere magico: non si cancella. Né tantomeno chi l’ha realizzato. Spiace.
Di Francesco Gottardi
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