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Intervista a Amos Gitai e Irène Jacob, regista e protagonista di Shikun

Alla Berlinale ha presentato il suo ultimo lavoro “Shikun”: parla il grande regista israeliano Amos Gitai e la protagonista Irène Jacob
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Intervista a Amos Gitai e Irène Jacob, regista e protagonista di Shikun

Alla Berlinale ha presentato il suo ultimo lavoro “Shikun”: parla il grande regista israeliano Amos Gitai e la protagonista Irène Jacob
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Intervista a Amos Gitai e Irène Jacob, regista e protagonista di Shikun

Alla Berlinale ha presentato il suo ultimo lavoro “Shikun”: parla il grande regista israeliano Amos Gitai e la protagonista Irène Jacob
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Alla Berlinale ha presentato il suo ultimo lavoro “Shikun”: parla il grande regista israeliano Amos Gitai e la protagonista Irène Jacob
L’appuntamento con Amos Gitai è all’Hotel Adlon, a due passi dalla Porta di Brandeburgo. Poco più in là c’è l’ambasciata russa, davanti a cui in tantissimi – da giorni – posano fiori e accendono candele per Alexey Navalny. Nella hall dell’hotel si può incrociare Hillary Clinton. Mentre il grande regista israeliano, il più politico del Medio Oriente, attende la stampa per parlare del suo nuovo film “Shikun”, tratto con intelligente inventiva dalla pièce “Il Rinoceronte” di Eugène Ionesco. Alla Berlinale, conclusasi domenica con la vittoria di Mati Diop con “Dahomey”, la politica internazionale bussa sempre in un modo o nell’altro. Anche quando i cineasti in corsa per l’Orso d’Oro sembrano più occupati a sperimentare la forma delle proprie opere che a motivarne il contenuto (vita dopo la morte, gli ippopotami di Pablo Escobar, viaggi in Oriente). La domanda guida da porre all’autore di “Kadosh” e “Kippur” è tanto banale quanto logica. E soltanto di striscio inerente al suo ultimo lavoro, presentato al Festival fuori concorso. Lui risponde generoso e con trasporto. Signor Gitai, qual è il suo pensiero riguardo la guerra fra Israele e Hamas? «Hamas ha stuprato, ucciso, torturato e non c’è nulla che possa assolverli da ciò» dice il regista e sceneggiatore nato ad Haifa e oggi 74enne. «Allo stesso tempo ci troviamo ostaggi del governo Netanyahu, un narcisista destinato a distruggere Israele. È un leader pericolosissimo, senza alcuna restrizione etica. Ha inghiottito Machiavelli, ormai ce l’ha nel cuore. Si tratta di un provocatore, alla sola ricerca di soldi e potere». Così il cinema d’autore può diventare specchio e lente di ingrandimento, aiutare lo spettatore a porsi le giuste domande. “Shikun” – girato quasi tutto prima di quel tragico 7 ottobre 2023 – non dà risposte ma stimola riflessioni. In un palazzone israeliano (è il significato del titolo) abita e si incontra una umanità varia e agitata, in attesa di fantomatici rinoceronti. I grossi animali, evocati di continuo, rimandano al teatro dell’assurdo di Ionesco. Gitai ha individuato la sua protagonista nella francese Irène Jacob: «Nel film sono una specie di aliena» ci racconta l’attrice. «Parlo un’altra lingua, che nessuno comprende. E viceversa io non capisco ciò che dicono gli altri. Eppure proviamo a comunicare. Trovo che questa sia un’idea molto bella». Nata a Parigi nel 1966, Jacob resta un faro per i cinefili di ogni generazione. Merito soprattutto dei capolavori testamentari del maestro polacco Krzysztof Kieslowski: “La doppia vita di Veronica” e “Tre colori – Film Rosso”. Una ragazza poco più che ventenne le chiede un selfie spiegandole che «la sua Veronica mi ha segnata». Jacob ringrazia e sorride all’obiettivo dello smartphone. Ma c’è un ulteriore motivo per cui l’attrice francese ha tutte le ragioni per sorridere. I suoi figli attori, Paul e Samuel Kircher, sono entrambi candidati ai premi César. La categoria è la stessa: “Migliore promessa maschile”. Da parte sua c’è qualche imbarazzo? «No, queste candidature sono soltanto da festeggiare» ribatte lei. «Sono orgogliosa. Pur essendo molto giovani (22 e 19 anni) hanno già preso parte a film importanti e confermano di continuo il loro talento». §C’è un cuore di mamma ovunque. Anche sotto la scorza rigida e impegnata della Berlinale. di Federico Fumagalli

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