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Ironia e dadaismo in musica con gli Squallor

Al Teatro Instabile di Napoli arriva la mostra “Fango, gli Squallor a tutto tondo”. La band sfacciata, custode della darkroom del surrealismo

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Ironia e dadaismo in musica con gli Squallor

Al Teatro Instabile di Napoli arriva la mostra “Fango, gli Squallor a tutto tondo”. La band sfacciata, custode della darkroom del surrealismo

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Ironia e dadaismo in musica con gli Squallor

Al Teatro Instabile di Napoli arriva la mostra “Fango, gli Squallor a tutto tondo”. La band sfacciata, custode della darkroom del surrealismo

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Al Teatro Instabile di Napoli arriva la mostra “Fango, gli Squallor a tutto tondo”. La band sfacciata, custode della darkroom del surrealismo

Sovversivi, dissacranti, attuali. A oltre 50 anni dalla nascita del gruppo e a 30 anni dalla pubblicazione di “Cambiamento” – l’album che ha segnato un segmento del successivo ventennio musicale italiano, tracciando il percorso di Skiantos ed Elio e Le Storie Tese – al Teatro Instabile di Napoli arriva la mostra “Fango, gli Squallor a tutto tondo” (sino al 24 ottobre), che prende il titolo da un libro dello scrittore Ciro Castaldo. Chi erano gli Squallor? In tre parole: anarchia, dadaismo, cazzeggio. Quattro artisti senza l’etichetta del politically correct, sfacciati e distaccati custodi della darkroom del surrealismo in note. La voce dell’improvvisazione della band era Alfredo Cerruti, produttore discografico napoletano, per qualche anno legato sentimentalmente a Mina, divenuto popolare anche per la partecipazione allo storico programma di Renzo Arbore della fine degli anni Ottanta “Indietro Tutta” (e in seguito autore televisivo). Poi c’era Gaetano (Totò) Savio: cantava in napoletano, scriveva le musiche, era tra l’altro co-autore di brani storici come “Cuore Matto” per Little Tony, “Rose Rosse”, “Se Bruciasse la Città” ed “Erba di Casa Mia” per Massimo Ranieri, “Maledetta Primavera” per Loretta Goggi. Poi c’erano il fiorentino Giancarlo Bigazzi, anche lui grande autore (Mia Martini, Umberto Tozzi e diversi altri big) e il milanese Daniele Pace che (oltre ad aver scritto “E la luna bussò” per Loredana Berté, “Nessuno mi può giudicare” per Caterina Caselli e altre hit di questo livello) nel curriculum avrebbe potuto esibire le serate sulle navi da crociera con Silvio Berlusconi in versione chansonnier.

Gli Squallor sono stati un pezzo di controcultura feroce finito (peraltro furtivamente) nelle case degli italiani attraverso il passaparola via audiocassetta: esclusi dalle principali radio nazionali, trovarono sponda soltanto in alcune delle mille emittenti private fiorite alla fine degli anni Settanta. La cortina di ferro era dovuta al diffuso perbenismo benedetto dal Vaticano e a un generale bando a volgarità e linguaggio esplicito. D’altronde la loro acida ironia non aveva risparmiato nessuno: il neofascismo, la Democrazia Cristiana, il bigottismo della Chiesa. Tutto questo non ha impedito ad almeno un paio di generazioni di ascoltare, quasi come fossero un moto carbonaro, i testi di “‘O tiempo se ne va”, “Curnutone”, “Mia cara miss” oppure “BlaBlaBla”. In radio finì solo “Tocca l’albicocca”, meno triviale di altri testi. «In realtà sono disturbanti anche oggi, risultano ancora rivoluzionari. In loro c’era un dadaismo spinto che li renderebbe ancora più indigesti: oggi avrebbero difficoltà a far uscire un album. C’è una censura subdola, i social attraverso gli algoritmi creano una palude. Ecco, la mostra nasce anche per squarciare il velo su tutto questo» spiega a “La Ragione” Salvatore Scuotto, il curatore della rassegna. «Rispetto a gruppi che hanno poi preso spunto da loro, gli Squallor restano inimitabili, un fenomeno mitico e ineguagliabile e anche fertile, perché può indurre a creare cose nuove dall’incrocio fra musica elettronica e altri generi musicali, senza cadere nello scimmiottamento, come è avvenuto poi negli anni Novanta».

Di Nicola Sellitti

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