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L’altra faccia della guerra

Noi italiani portiamo più di altri cicatrici i cui lembi non combaciano mai. Meglio di tutti dovremmo saper descrivere come si vive una guerra provocata stando dal lato sbagliato della Storia, pagando poi il caro prezzo della libertà con le lotte partigiane
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L’altra faccia della guerra

Noi italiani portiamo più di altri cicatrici i cui lembi non combaciano mai. Meglio di tutti dovremmo saper descrivere come si vive una guerra provocata stando dal lato sbagliato della Storia, pagando poi il caro prezzo della libertà con le lotte partigiane
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Noi italiani portiamo più di altri cicatrici i cui lembi non combaciano mai. Meglio di tutti dovremmo saper descrivere come si vive una guerra provocata stando dal lato sbagliato della Storia, pagando poi il caro prezzo della libertà con le lotte partigiane
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Noi italiani portiamo più di altri cicatrici i cui lembi non combaciano mai. Meglio di tutti dovremmo saper descrivere come si vive una guerra provocata stando dal lato sbagliato della Storia, pagando poi il caro prezzo della libertà con le lotte partigiane
Più mi addentro in quel “cuore di tenebra” sintetizzato da Joseph Conrad in una sola parola come “l’orrore”, più è forte il desiderio di raccontare com’è stato trovarsi a quelle due ore di distanza che separano il mondo dalla sua fine. Noi italiani portiamo più di altri cicatrici i cui lembi non combaciano mai. Meglio di tutti dovremmo saper descrivere come si vive una guerra provocata stando dal lato sbagliato della Storia, pagando poi il caro prezzo della libertà con le lotte partigiane. Il 23 agosto del 1939 veniva siglato il patto Molotov-Ribbentrop, a seguito del quale Polonia e Repubbliche baltiche perdevano la loro indipendenza. Il loro territorio veniva spartito tra la Germania nazista di Hitler e l’Unione Sovietica comunista di Stalin, che avevano suggellato così la loro alleanza. In Italia i giornali riportavano il calendario del regime per l’anno XVIII dell’era fascista, il diritto della Germania ad appropriarsi di spazio vitale in Polonia e definivano provocazioni gli estremi tentativi polacchi di difendere la propria terra. La linea dettata da Mario Draghi più di 80 anni dopo ci ha riscattati senza se e senza ma da un’onta infamante, fugando rischiose ambiguità assunte ora come allora dall’Ungheria, ad esempio. Certi media non hanno fatto altrettanto. “Non è la nostra guerra”, “la Russia è stata provocata”, continue questioni sull’invio di armi a sostegno dell’aggredito e l’efficacia di sanzioni “che danneggiano più noi”, l’egoismo di chi “prima l’Italia”, i passaggi concessi in tv a propagandisti del Cremlino in nome di una par condicio esasperata, hanno continuato a ferire qui chi arrivava dall’inferno. L’altra faccia della moneta con cui si paga il prezzo di una guerra va descritto raccontando la quotidianità di chi ha la fortuna di trovarsi sotto lo scudo della Nato ma il cuore e la famiglia sotto le bombe. Mai avrei pensato di trascorrere la notte del nostro anniversario spiegando alla mia metà come trasformare una molotov in mini-napalm. Lei, attenta, mi faceva domande dicendo che in tv davano istruzioni simili e faceva coraggio a me. Aveva trovato rifugio in un bunker insieme ai genitori anziani. Mentre vedevamo incedere file interminabili di tank verso Kherson, Mariupol e Karkhiv, evocando a colori le immagini in bianco e nero della II Guerra Mondiale, gli ucraini trasformavano le cantine interrate in rifugi. Ogni famiglia fuori città aveva il suo. I giovani trascinavano pesanti blocchi di cemento per sbarrare l’accesso alle città. I volontari si registravano per nome un’arma, e così si davano il cambio appostati alle finestre come fanno i militari. Questa guerra ha reso soldati 44 milioni di civili. Nel frattempo in Italia arrivavano elenchi infiniti con richieste di ogni tipo: dai pannolini alle garze per ustioni gravi da fosforo bianco. Mancava tutto: quantitativo e reperibilità erano insostenibili da soli. Adrenalina per intracardiaca, morfina, materiale per praticare amputazioni e suture importanti, cibo in scatola, asce, torce a batteria, ginocchiere, giubbotti antiproiettile. Nel mentre, da qui rubavamo il segnale alle ip-webcam e ne inviavamo altre per sorvegliare da remoto e avvisare in tempo se i russi stavano tornando.   Di Giorgio Provinciali

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