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Musica ieri, musica oggi: cosa è cambiato

La musica oggi sembra ingabbiata nel binomio social-streaming e un approccio al pubblico diverso da quello di un tempo. Non migliore, diverso. Ma ai giovani talenti diciamo: non accontentatevi.

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Musica ieri, musica oggi: cosa è cambiato

La musica oggi sembra ingabbiata nel binomio social-streaming e un approccio al pubblico diverso da quello di un tempo. Non migliore, diverso. Ma ai giovani talenti diciamo: non accontentatevi.

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Musica ieri, musica oggi: cosa è cambiato

La musica oggi sembra ingabbiata nel binomio social-streaming e un approccio al pubblico diverso da quello di un tempo. Non migliore, diverso. Ma ai giovani talenti diciamo: non accontentatevi.

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La musica oggi sembra ingabbiata nel binomio social-streaming e un approccio al pubblico diverso da quello di un tempo. Non migliore, diverso. Ma ai giovani talenti diciamo: non accontentatevi.

Qualcuno l’ha definita “l’estate dei dinosauri” ma i mostri sacri della musica dominano ancora le quattro stagioni. Nelle ultime settimane abbiamo scritto di Paul McCartney, dei Beatles, di Bruce Springsteen e di Paolo Conte.

Abbiamo riflettuto sul senso di andare ad ascoltare un concerto dei Rolling Stones, all’alba del 60º anniversario della loro carriera. In tal senso Fabio Santini ha espresso più che legittimi dubbi, avendo avuto l’opportunità di vederli dal vivo decenni fa, all’apice di una parabola comunque la si pensi impressionante. Per parte nostra (eravamo fra i sessantamila di San Siro di martedì scorso) il senso permane eccome.

Prendiamo in prestito proprio Mick Jagger e compagni per trovare un perno al nostro ragionamento: oltre il debordante talento, l’impressionante carisma e la capacità di attraversare decenni e generazioni, gli Stones sono fra i più clamorosi interpreti di una lunga stagione, in cui fare musica significava innanzitutto raccontare un’idea di vita e di mondo. Esplorare esperienze e sensazioni (senza dimenticare esagerazioni e vizi), provando a trasferire tutto questo in produzioni molto articolate.

La forma-principe di musica, non a caso, era quella dell’album, il long playing dell’era d’oro del vinile. Il “singolo” – il 45 giri – fungeva da traino, pensato e scelto per le radio. La hit ha sempre avuto una forza a sé stante, destinata a scolpire il nome di un artista nella storia (si pensi a cosa sia “Satisfaction” per i Rolling Stones o “Born To Run” per Springsteen), ma non avulsa da un contesto altrettanto importante. Quello dell’album e dell’idea che lo ispirava.

In genere, quando si riflette sul grande successo di miti della musica fra generazioni arrivate quaranta o cinquant’anni dopo la loro consacrazione, si pone l’accento sulla pura longevità, sulla professionalità, anche sulla maniacale preparazione fisica che consente a un ultrasettantenne come Bruce o a un quasi ottantenne come Mick di cavalcare il palco con un’energia e una mobilità impressionanti. Tutto vero, ma dovremmo prestare più attenzione alle dinamiche che determinavano il successo un tempo e a quelle che si sono imposte oggi.

I nuovi miti dei nostri figli sono il prodotto di una combinazione ormai irrinunciabile, fra social e streaming. Per un Ghali, un Sangiovanni, ma anche un Marco Mengoni o una Alessandra Amoroso, la carriera rischia di essere una sequenza di singoli da piazzare quanto più in alto possibile nelle classifiche di streaming. Il concetto stesso di “vendita” non ha più gran valore, per artisti che guadagnano quasi esclusivamente con i live. Molti di loro sono nati nei talent, allevati alla (dura) scuola della ricerca della popolarità social come chiave per la vittoria.

Chi fa musica oggi, in sostanza, ha un approccio alla realtà e al proprio pubblico radicalmente diverso. Non migliore o peggiore di prima, solo differente.

La sfida che ci sentiremmo di lanciare ai talenti dei nostri giorni è di pensare più in grande, di non accontentarsi della gabbia social-streaming. Lasciamo perdere i Beatles o i Rolling Stones (significherebbe cercare impossibili paragoni con la leggenda) ma si può pensare di lasciare un segno profondo esplorando qualsiasi genere. Negli anni Ottanta – quando i Fab Four si erano già sciolti da oltre un decennio, Jimmy Hendrix e Jim Morrison non c’erano più da tanto e Bob Marley ci stava per lasciare – il pop regalò al mondo Michael Jackson e Madonna. Anche nella piccola storia italiana dei tormentoni estivi alcuni di allora hanno avuto la forza di arrivare sino a noi. Uno per tutti, “Vamos a la Playa” dei Righeira.

Non siamo condannati all’“usa e getta” online e facciamoci un regalo: riprendiamo ad ascoltare gli album.

di Fulvio Giuliani

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