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Oppenheimer e i suoi insegnamenti nell’epoca di Trump

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Oppenheimer e i suoi insegnamenti nell’epoca di Trump. Il raffinato fisico che riuscì nell’impresa ai limiti delle possibilità umane

Oppenheimer

Oppenheimer e i suoi insegnamenti nell’epoca di Trump

Oppenheimer e i suoi insegnamenti nell’epoca di Trump. Il raffinato fisico che riuscì nell’impresa ai limiti delle possibilità umane

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Oppenheimer e i suoi insegnamenti nell’epoca di Trump

Oppenheimer e i suoi insegnamenti nell’epoca di Trump. Il raffinato fisico che riuscì nell’impresa ai limiti delle possibilità umane

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Per Pasqua, un ricordo di chi non smise mai di porsi domande di carattere morale. Julius Robert Oppenheimer (per tutti J. Robert o semplicemente “Oppy”) è passato alla storia come “il padre della bomba atomica“, il che in tutta franchezza può non essere il massimo. Sta di fatto che questo raffinato fisico e straordinario organizzatore riuscì a centrare un obiettivo ai limiti delle possibilità umane.

Riscoperto grazie all’eccellente film trionfatore agli Oscar firmato da Christopher Nolan, la sua figura va molto oltre la versione “pop” figlia del successo al cinema.
Oppenheimer ebbe la capacità di mettere in rete alcuni dei migliori cervelli a disposizione nel suo tempo.

Lo poté fare appoggiandosi ai centri di ricerca e sperimentazione delle università americane, già allora leader a livello mondiale. Particolare fondamentale, perché nei vent’anni precedenti gli scienziati tedeschi avevano dato un contributo di straordinario valore ai balzi in avanti proprio nello studio dell’atomo e della materia. Cervelli a teorica disposizione di Hitler.

Oppenheimer sapeva di essere impegnato in una corsa contro il tempo e contro uomini di pari valore, se non superiori. Era conscio di avere un vantaggio incolmabile in termini di infrastrutture e denari, mentre i programmi nazisti erano martellati dai bombardamenti. Eppure l’impresa restava folle e non sarebbe stata possibile se quei cervelli non fossero stati messi in condizione di lavorare in assoluta libertà e poi “messi in rete” dalla leadership di “Oppy”.

Gli Stati Uniti d’America ebbero la bomba atomica molto prima dell’Urss e in tempo utile per chiudere il conflitto con il Giappone, senza dover affrontare l’invasione del Paese, grazie a ciò che Oppenheimer riuscì a realizzare in tempi record nel nulla di Los Alamos, nel New Mexico. Sfruttando la libertà scientifica, il confronto e anche le rivalità, marchio di fabbrica dell’elite universitaria americana.

La bomba atomica non fu “figlia di Oppenheimer”, ma di un team arricchito da cervelli straordinari in fuga dalle politiche nazifasciste. Un nome per tutti: Enrico Fermi.
Ricordiamolo, quando leggiamo solo uno scontro sui fondi federali nel conflitto fra Trump e l’Università di Harvard.

Finiti il lavoro e la guerra, lo scienziato pose interrogativi etici laceranti sulle modalità d’uso e controllo dell’atomica. Posizioni scomode che gli costarono un ostracismo ai limiti dell’accusa di tradimento. A lui che aveva accelerato la fine del conflitto e salvato centinaia di migliaia di vite americane.

Contribuendo a sacrificarne un numero ancora imprecisato di giapponesi, elemento che la mente razionale ma empatica di Oppenheimer non volle accantonare.
Avrebbe potuto farlo, cullandosi nella comoda parte dell’eroe americano: scelse la strada della consapevolezza e della ragione, aprendo la strada a fondamentali valutazioni sul rapporto fra politica, potere e scienza che hanno contribuito a forgiare l’anima dell’Occidente.

Di Fulvio Giuliani

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