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Ossessionati da Eminem

Eminem, al secolo Marshall Bruce Mathers III, è in assoluto il più grande artista hip hop della Storia e, ancora oggi, ossessione di un mondo perbenista

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Eminem, al secolo Marshall Bruce Mathers III, è in assoluto il più grande artista hip hop della Storia e, ancora oggi, ossessione di un mondo perbenista

Questa storia parte da molto, molto lontano. Laggiù, nell’Africa più africana, almeno un centinaio di anni fa o anche più. All’inizio erano loro: i Griots, nobili storyteller africani, alfieri della parola, detentori della memoria del villaggio, cantori di gesta epiche o aneddoti pieni di saggezza che riversavano alla loro gente in forma di nenie appena musicate, attraversate da impetuosi grappoli di parole. Sì, storie, leggende in cui la parola era il centro delle cose, possedeva la magia di far vedere i fatti, addirittura – diceva qualcuno – di farli accadere.

Succede invece che tantissimi esseri umani di quella parte di mondo si ritrovarono caricati in navi mercantili, trasformati in schiavi e indirizzati verso Mississippi, Tennessee e Arkansas. Destinati quindi a conoscere povertà, prigioni, linciaggi e (nella migliore delle ipotesi) ritmi infernali di lavoro. Però, lo sappiamo, puoi sottomettere l’uomo ma non la sua lingua. E l’epico racconto del Griot divenne presto la bastarda narrazione in un americano stentato fatto di pochi ma coloriti vocaboli che qualcuno chiamò talking blues. Il battito ossessivo di un piede, una chitarraccia in cui far sferragliare il collo di una bottiglia e poi loro: le parole, in un flusso quasi ininterrotto, grezze e preziose, la quantità giusta per esorcizzare schiavitù e miseria, celebrare alcol e sesso, per ingraziarsi la bontà divina, per imprecare contro una vita (in subordine una società) ritenuta ingiusta.

E qui ci avviciniamo alla ‘nostra’ storia. Queste parole, questo incedere parlato, questo filo di umanità che unisce due Continenti e più di due secoli di Storia, confluiscono in una cultura nuova che non ha la quiete dei pastori narranti del Mali né la cupa profondità di un grande fiume ma il frastuono cittadino, la rabbia dei quartieri poveri, la creatività spruzzata su mura in forma di graffiti, la strada come via di fuga e la musica che stavolta non è solo accennata ma intensa, pulsante di ritmi generati da drum machine e da suoni e loop a volte riciclati da pezzi del passato. È, in mezzo, la parola. Stavolta sporca e impura che non conosce sofismi lessicali ma va dritta su cuore e nervi della gente. Racconta di disagio, povertà, rabbia; mastica odio, a volte amore.

È la cultura hip hop che nasce a New York ma si estende presto a macchia d’olio in tutto il mondo. Una cultura che ha i suoi eleganti alfieri nei Master of ceremonies (i famosi Mc), la sua epica negli ‘scontri’ fra artisti (le battles), i suoi idoli da venerare. Uno fra tutti: biondo, pallido, gli occhi di ghiaccio, fisicamente l’antitesi esatta di quei narratori delle origini. Eminem, al secolo Marshall Bruce Mathers III, è in assoluto il più grande artista hip hop della Storia.

Voce densa, scandita, una scrittura netta e tanto incisiva da sembrare spontanea ma che nasconde un ossessivo lavoro di rifinitura. Dal 1997 Eminem è il messaggero hip hop più ascoltato, amato, odiato, chiacchierato e ossessione di un mondo perbenista che non tollera che da disagio e squallore possano affiorare verità e poesia. Conquista tutti i premi possibili, batte tutti i record di vendite, riempie gli stadi e inevitabilmente gli spazi sui tabloid perché quei testi non sono pacifici ma carichi di rancore e protesta, di infelici vicissitudini familiari (un pessimo rapporto con la madre), di amore netto (per la figlia), di insofferenza verso il prossimo e – a volte – di comprensione. Le sue parole sono piene di ‘fuori onda’ in cui è impossibile trattenere espressioni scomode. Da qui le accuse di misoginia, razzismo, omofobia.

Eminem offre perle straordinarie di umanità fragile e desiderosa di riscatto, il suo è il racconto di un introverso che vive il disagio e, grazie alla poesia e alle parole, svuota le interiora da rabbia e insoddisfazione. Testi alla fine così poetici che furono acclamati persino da Seamus Justin Heaney, premio Nobel per la letteratura nel 1995.

Nel Sanremo condotto da Raffaella Carrà (anno 2001) fu presentato come il ragazzo più pericoloso del mondo, ma la sua partecipazione a quel Festival finì per essere del tutto innocua perché la Rai trascurò di tradurre in simultanea i testi. Di recente Eminem ha annunciato in un video l’uscita del suo nuovo disco. Fan esplosi di gioia. Non era vero. Una burla. Anche i più ‘cattivi’ artisti hip hop in fondo amano festeggiare il pesce d’aprile.

di McGraffio

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