Panettone, morbida bandiera tricolore
Il dibattito su cosa sia meglio tra pandoro e panettone non avrà mai una fine e si tinge ogni anno di nuove sfumature. Chi preferisce la produzione industriale chi invece custodisce gelosamente gli indirizzi dei forni migliori. Soprattutto a Milano, dove tutto iniziò.

Panettone, morbida bandiera tricolore
Il dibattito su cosa sia meglio tra pandoro e panettone non avrà mai una fine e si tinge ogni anno di nuove sfumature. Chi preferisce la produzione industriale chi invece custodisce gelosamente gli indirizzi dei forni migliori. Soprattutto a Milano, dove tutto iniziò.
Panettone, morbida bandiera tricolore
Il dibattito su cosa sia meglio tra pandoro e panettone non avrà mai una fine e si tinge ogni anno di nuove sfumature. Chi preferisce la produzione industriale chi invece custodisce gelosamente gli indirizzi dei forni migliori. Soprattutto a Milano, dove tutto iniziò.
«Lo scrittore che non parla mai di mangiare, di appetito, di fame, di cibo, di cuochi, di pranzi mi ispira diffidenza, come se mancasse di qualcosa di essenziale». Riassaporando questa citazione dello scrittore Aldo Buzzi ci prepariamo ad affrontare i banchetti natalizi.
Punto di partenza: non è una festa se non c’è pane, eterno simbolo di abbondanza e condivisione. Modificato e arricchito – anche con qualche leggenda da spolverarci sopra, come fosse zucchero a velo – porta in tavola il Natale. Pandoro il divino, colmo di burro e di sfumature auree su cui sciare; unico nel saziare la nostra voglia di sorpresa perché ancor prima del suo profumo sa regalarci delle stelle se lo affettiamo in orizzontale. Panforte o panpepato, da addentare per conoscere il sapore di strenne toscane e con le spezie andare anche più lontano. Pan’ e saba, lievitato antichissimo e quindi memoria. Panettoni di bottega.
E proprio sull’orgoglio della gastronomia lombarda ci soffermiamo. Si vocifera che molte signore di Milano custodiscano gelosamente taccuini con gli indirizzi dei migliori forni, quelli dalle impareggiabili panificazioni.
Una lunga storia, quella del panettone – magistralmente ricostruita da Giovanna Frosini, docente universitaria e accademica della Crusca – che inizia probabilmente nel Seicento con il «pan grosso, qual si vuole fare a Natale» e giunge alla consacrazione del nero su bianco un bel giorno del 1814, quando Francesco Cherubini nel suo “Vocabolario milanese-italiano” annota: «Specie di pane addobbato con burro, zucchero e uva passerina o di Corinto… che vien anche detto tra noi El panatton de Natal».
Ci penserà il buon Ugo Foscolo ad aggiungere una vocale e il passaggio da panattone a panettone è quasi fatto. Una lievitazione lessicale che matura in una Italia in cerca di unità ma già brulicante di scambi e commerci. Il panettone diviene così una sorta di morbido tricolore, tanto che oggi sventola fiero come una delle nostre bandiere nel mondo.
Le tifoserie del fatto in casa o della produzione industriale si fronteggiano a colpi di assaggi. Arrivare a contraddire il sommo Pellegrino Artusi, che non aveva dubbi sulla supremazia del “Panettone della Marietta”, conduce probabilmente a vagare nel purgatorio dei gastronomi erranti.
Nessuno di noi ha avuto il privilegio di assaggiare quello impastato dalla signora Marietta Sabatino, fedele governante di casa Artusi. «La Marietta – ci tiene a sottolineare – è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei».
Sostenere con spavalderia che esistano eccellenze figlie di produzioni dolciarie su larga scala significa consegnarsi fiduciosi alla certezza che, alla fine, qualunque dolce sotto l’albero sarà soffice e buono come le parole dell’esploratrice e saggista Freya Stark: «Natale non è un evento esterno, ma un pezzo di casa che ciascuno porta nel proprio cuore».
di Laura Malfatto
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Tag: Italia
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