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Vincenzo Incenzo: «Scrivo canzoni per fare domande»

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Vincenzo Incenzo, artista poliedrico ma anche uno degli autori più importanti della nostra musica

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Vincenzo Incenzo: «Scrivo canzoni per fare domande»

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Vincenzo Incenzo, artista poliedrico ma anche uno degli autori più importanti della nostra musica

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Vincenzo Incenzo: «Scrivo canzoni per fare domande»

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Vincenzo Incenzo, artista poliedrico ma anche uno degli autori più importanti della nostra musica

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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Vincenzo Incenzo, artista poliedrico ma anche uno degli autori più importanti della nostra musica

Da qualche anno a questa parte, complice il ruolo dei social e un mondo sempre più connesso, una figura fondamentale nel panorama musicale ha finalmente ricevuto l’attenzione che merita: l’autore. Non è certo una novità quanto questo ruolo sia centrale da sempre nel processo creativo che genera una canzone. Ma per approfondire abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Vincenzo Incenzo, non solo cantautore e artista poliedrico ma anche uno degli autori più importanti della nostra musica: portano la sua firma brani memorabili come “Cinque giorni” e “L’elefante e la farfalla” di Michele Zarrillo, oltre a tante altre canzoni scritte per Renato Zero, Lucio Dalla, Antonello Venditti e molti altri.

Venerdì scorso a La Spezia ha ritirato (per la terza volta in carriera) il premio “Lunezia Canzone d’Autore 2024” per “Ti Perdi”, brano contenuto nel suo ultimo album di inediti “#pace”. «Era un periodo di calma apparente, ma continuava a rimbombarmi in mente la parola “guerra”, che ha perso completamente significato. Si arriva a parlare di ‘guerre giuste’, ma non mi riferisco soltanto ai conflitti geopolitici: penso anche a quelli che viviamo ogni giorno, persino con le persone a noi più vicine. Sentivo che la parola “pace” dovesse essere gridata e l’unica ‘arma’ che ho a disposizione è quella di scrivere» ci ha raccontato. «Tuttavia non sempre gli interpreti con cui lavoro sono disposti a trattare temi così divisivi e diretti. Molti preferiscono essere più generalisti. Prendere una posizione può dividere il pubblico e comprendo questa reticenza. Per questo ho deciso di farlo in prima persona».

Un tempo gli artisti si esponevano eccome, denunciare i problemi della società era quasi una prassi. Racconta Incenzo: «Ho iniziato questo lavoro come cantautore. Poi per 25 anni mi sono ‘distratto’ e ho fatto soltanto l’autore. Quando ho cominciato, la condizione fondamentale per scrivere canzoni era sempre quella di guardare fuori dalla finestra, osservare ciò che accadeva intorno. Sono nato con questo imprinting, forse un po’ illusorio ma non troppo: le canzoni hanno sempre fatto da testimoni del nostro tempo, da sentinelle. Ci sono stati eventi – come il Live Aid – che hanno interrogato il mondo: ecco, credo che l’arte possa avere ancora questa funzione. Purtroppo l’abbiamo un po’ persa per strada, ma qualcuno anche dalla sua piccola nicchia deve pur provarci. Io, nel mio piccolo, voglio continuare a mantenere fede a quella promessa iniziale: l’idea che con le canzoni si potessero sollevare domande, se non addirittura dare risposte».

Ma come nasce la magia di una canzone scritta per altri, capace di adattarsi a un interprete come un abito su misura? «Ho sempre cercato di avvicinarmi prima alla persona che all’artista. Lo dimostra il fatto che, in una specie di ‘follia’, a 26 anni – quando avevo già scritto “Cinque giorni” e cominciato a lavorare con Renato Zero – ho rinunciato a un’esclusiva per la Sony. Mi offrivano un sacco di soldi, ma avrei dovuto scrivere per così dire ‘a cottimo’. Dovevo buttare giù canzoni in continuazione e non mi sentivo in grado di farlo. Non è stata una scelta facile, ma piuttosto di umiltà. Ci sono autori che lavorano così. Ma a me piace lavorare con e per la persona. Un po’ come un sarto che ti cuce il vestito addosso» spiega Incenzo.

Con alcuni artisti il rapporto è stato immediato e naturale: «Le cose più importanti sono nate con le persone con cui ho avuto una relazione affettiva più forte: Renato Zero, Michele Zarrillo, Lucio Dalla e Sergio Endrigo». Altre volte invece la scintilla non è scattata: «Alcune collaborazioni non sono andate in porto. Non farò nomi, ma a volte non si è creata quella chimica indispensabile per vivere un’esperienza di abbandono e fiducia reciproca. Per scavare a fondo e creare qualcosa di autentico, devi fidarti di chi interpreterà le tue canzoni e l’interprete deve avere fiducia in te».

Di Federico Arduini

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