Auro Palomba: “Cosa ho imparato da Montanelli, Costanzo e Benetton”
La vita di Auro Palomba, tra i massimi esperti di comunicazione, è un puzzle che si è incastrato alla perfezione. Tessere che però risultano inutili se non si è dei bravi giocatori
| Editoria
Auro Palomba: “Cosa ho imparato da Montanelli, Costanzo e Benetton”
La vita di Auro Palomba, tra i massimi esperti di comunicazione, è un puzzle che si è incastrato alla perfezione. Tessere che però risultano inutili se non si è dei bravi giocatori
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Auro Palomba: “Cosa ho imparato da Montanelli, Costanzo e Benetton”
La vita di Auro Palomba, tra i massimi esperti di comunicazione, è un puzzle che si è incastrato alla perfezione. Tessere che però risultano inutili se non si è dei bravi giocatori
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La vita di Auro Palomba, tra i massimi esperti di comunicazione, è un puzzle che si è incastrato alla perfezione. Tessere che però risultano inutili se non si è dei bravi giocatori
“Parlare in continuazione non significa comunicare” ha detto una volta Jim Carrey. Curioso per uno che su fiumi di versetti, smorfie e parole ha costruito una parte importante della propria carriera. Questo per dire che non si tratta tanto del quanto ma di come una cosa viene detta. Auro Palomba non è un attore ma il mondo dello star-system lo ha conosciuto da vicino, se non altro per la sua amicizia con Maurizio Costanzo, con cui nel 1999, assieme ad Alessandro Benetton, fondò la Maurizio Costanzo Comunicazione. Palomba è oggi uno dei top comunicatori del panorama nazionale. Una carriera cominciata nel mondo del giornalismo, come spesso accade, sotto la guida di Indro Montanelli a “Il Giornale”. Poi la direzione della comunicazione di alcune realtà finanziarie. Nel 2001 quindi la nascita della sua agenzia, Community, che per oltre 20 anni ha primeggiato nel trattare la delicatissima questione della reputation management. Da pochi mesi Cattaneo Zanetto & Co e Community si sono unite per dar vita alla holding Excellera Advisory Group, il primo gruppo italiano di comunicazione.
Palomba, incontri con Indro Montanelli, Maurizio Costanzo e Alessandro Benetton accadono o si cercano?
Una volta andai da un head hunter che mi voleva offrire una posizione lavorativa e gli raccontai la mia vita come la somma di una serie di colpi di fortuna. Lo faccio ancora oggi e noto che la gente mi guarda un po’ scettica. Io sono stato sicuramente molto fortunato: Montanelli mi ha insegnato a fare il giornalista, Costanzo a fare comunicazione e Benetton a fare impresa. Per rispondere alla sua domanda le direi che le cose capitano, bisogna poi essere bravi a farle funzionare.
Tanti incontri fortunati e successi nella sua carriera professionale. Ci racconta però anche un suo insuccesso?
Io fallisco tutti gli anni. Dico spesso: le storie di successo si costruiscono ex post. Il nostro mestiere non è un piano quinquennale sovietico. Il talento sta nell’essere strategici e tattici insieme. Seguire il vento, capire quello che succede. I fallimenti ci sono sempre ma fanno parte del gioco. Si pensi agli ultimi anni: il covid, la guerra, l’inflazione. L’importante è essere resilienti e non fissarsi sugli errori.
Community nasce nel 2001 come agenzia di reputation. Il concetto della reputazione è un’invenzione moderna o è sempre esistito?
Il concetto di reputazione credo sia esploso con l’avvento dei social e del web. Durante i primi dieci anni della mia attività di comunicatore ho sempre consigliato ai miei clienti di apparire il meno possibile perché più ti esponi e più è alta la possibilità di dire sciocchezze. Dall’avvento dei social è tutto cambiato perché se non si parla, sono gli altri a parlare di te. Se prima la reputazione si costruiva anche con il silenzio, ora il lavoro è molto più complesso. Una reputazione che si costruisce magari in 30 anni di attività adesso può essere distrutta in 20 secondi.
Come far fronte ad un attacco social, il cosiddetto “shit storm”?
Gli utenti dimenticano ma il web no. Tutto rimane. Nel momento in cui si è sotto attacco si può fare poco, anzi più ci si agita e più gli effetti sono nefasti. Una volta che l’onda è passata, il lavoro è di ricostruzione, iniziando a discernere il falso dal vero e a costruire una serie di contenuti positivi che bilancino sul web i contenuti negativi usciti. Il lavoro è continuo. Sono i contenuti, consistenti e congrui, che fanno la differenza.
L’America è ancora la mecca a cui guardare per i trend della comunicazione o il mondo si è ormai globalizzato su questo fronte?
Quando ci confrontiamo con i nostri alter ego internazionali dal punto di vista degli strumenti non vedo particolari differenze. Piuttosto la discriminante sta nel fatto che in Italia il mondo della comunicazione è ancora costituito da tantissime minuscole società, mentre all’estero ci sono grandi gruppi che fatturano centinaia di milioni di dollari. Questo sicuramente aiuta molto. Credo che il futuro stia nell’aggregazione, strada che anche noi come Community abbiamo percorso con l’unione con Cattaneo Zanetto.
La vita da giornalista non le manca neanche un po’?
Onestamente no. Non ho avuto neanche un minuto di pentimento. All’inizio della mia carriera desideravo tantissimo fare il giornalista con l’idea di poter cambiare il mondo. Quando ho smesso mi sono reso conto di come il mondo dei giornali sia molto dogmatico. La realtà è fluida, le alleanze cambiano. Spesso il racconto dei giornali non è necessariamente quello della realtà che, nei fatti, è molto più complessa.
Come vede il futuro della professione giornalistica?
Nel 2000, agli esordi di internet, iniziai a pensare che ci fossero alcuni giornalisti che da soli funzionavano anche da soli, come un brand. Con Costanzo iniziammo a chiamarli per proporre loro di diventare dei “marchi” indipendenti dal giornale. Non accettò nessuno. Io credo che il futuro del giornalismo sia proprio questo: essere autorevoli indipendentemente dal luogo che ti ospita. Il futuro dei giornali dpende proprio dalla loro autorevolezza.
Oggi vede riferimenti assimilabili a figure carismatiche come quella di Montanelli e Costanzo?
Stiamo parlando di due geni incredibili. Uomini di intelligenza oltre la media, intuizione e capacità. Oggi un riferimento a loro assimilabile può essere Enrico Mentana: è autorevole, ha creato il TG5 e quello di La7. Sicuramente rispetto al passato adesso c’è molto più rumore di fondo. Con la digitalizzazione della tv, l’avvento dello streaming, gli influencer, i social, è tutto molto più rarefatto.
Parliamo di comunicazione politica. Mi faccia dei nomi. A suo avviso chi è stato il migliore e chi il peggiore?
Il problema di fondo è dato dal fatto che in Italia un ciclo politico dura in media un anno e mezzo. Renzi e Salvini hanno avuto due parabole discendenti molto simili. Hanno avuto periodi di comunicazione favolosi, ma non si sono resi conto del cambiamento intorno. Giorgia Meloni sta capendo che il talento risiede nella misura e nel non essere onnipresenti. Contrariamente a molte mie perplessità iniziali, devo ammettere che Meloni ora sta dimostrando una buona misura.
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Tag: comunicatori, Evidenza
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