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Becciu, fra misteri e veleni

Un pamphlet, quello di Nanni su Becciu, tinto di giallo. Tra misteri e veleni

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Becciu, fra misteri e veleni

Un pamphlet, quello di Nanni su Becciu, tinto di giallo. Tra misteri e veleni

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Un pamphlet, quello di Nanni su Becciu, tinto di giallo. Tra misteri e veleni

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Un pamphlet, quello di Nanni su Becciu, tinto di giallo. Tra misteri e veleni

I processi hanno sempre attirato l’attenzione dell’opinione pubblica. E i giornali, soprattutto quelli di una volta, ci hanno inzuppato il pane. Si pensi allo scandalo della Banca romana e al coinvolgimento degli stessi Francesco Crispi e Giovanni Giolitti. Si pensi ai processi per delitti d’onore ai primi del Novecento. Come quello contro lo scultore Filippo Cifariello, che uccide la consorte, una sciantosa fedifraga seriale, e la sorella del presunto seduttore. O come quello contro il medico Luigi Carbone, che sopprime la consorte perché non illibata, nel corso del quale due pesi massimi dell’avvocatura – Alfredo De Marsico, parte civile, e Giovanni Porzio, difensore – danno il meglio di sé. Per non parlare del caso Montesi, del processo Andreotti e così via.

Tra tanto clamore, soltanto uno cadde nel dimenticatoio. Per colpa di Mario Missiroli, direttore del “Corriere della Sera”. A un processo per adulterio contro una nobildonna che se l’intendeva con l’autista, è inviato Egisto Corradi. Gaetano Afeltra, conoscendo il suo direttore, raccomanda prudenza. Ligio alla consegna, Corradi verga un articolo con dentro ben poco. Per la gioia di Missiroli, che muove un solo appunto: «Peccato non si possa omettere quel dettaglio dello chauffeur».

Ora, Mario Nanni non avrà l’autorevolezza di un Missiroli. Ma è stato per lungo tempo una colonna dell’Ansa, è autore di saggi sul Parlamento e dintorni di piacevole lettura ed è direttore della rivista online “BeeMagazine”. Persona schietta, non ha peli sulla lingua. Iscritto fin da giovane alla benemerita associazione degli apoti, non la beve. Come dimostra anche nel suo recente libro sul caso Becciu, il cardinale sardo condannato in primo grado dal tribunale vaticano per peculato per i centomila euro destinati alla diocesi di Ozieri, in Sardegna, subito percepita come ingiusta e infamante. E ad averne tratto beneficio, secondo l’accusa, sarebbe suo fratello.

Con lo scrupolo del giornalista e il fiuto del segugio, ne “Il caso Becciu. (In)Giustizia in Vaticano. Dizionario delle omissioni, anomalie, mistificazioni, misteri e veleni” (Media Books) esamina gli atti del processo. 86 le udienze. Compresa la pausa del Covid, durerà due anni e mezzo. Più di due milioni i file prodotti dal Procuratore di Giustizia, che Nanni prenderà a bersaglio di continuo, decine di migliaia da parte delle difese e delle parti civili. Nanni afferma: «Lungo l’arco di quattro anni, è stato un coro di accuse, insinuazioni, maldicenze, voci di corridoio. Poi è arrivato il processo, e nonostante la sentenza sfavorevole, in primo grado, per Becciu c’è stata l’epifania della verità: è uscito fuori un groviglio di macchinazioni e manovre ai suoi danni, e il cardinale ha potuto con serenità di coscienza e dignitosa indignazione gridare la sua innocenza».

In effetti, le anomalie sono tante. A cominciare dal fatto che per la prima volta un cardinale non è giudicato dai suoi pari ma da un tribunale composto da laici. Ed ecco che salta agli occhi una galleria di personaggi, più o meno improbabili, ben dipinti dall’autore come agenti segreti o presunti tali che recitano la loro parte in commedia. Come alcune donne che si sono schierate ‘senza se e senza ma’ contro il cardinale. Come quel monsignor Alberto Perlasca che deve tanto al cardinale e, ciò nondimeno, gli si scaglia contro.

Così come le procedure lasciano parecchio a desiderare. Basti dire che, a processo già iniziato, le regole del gioco sono cambiate per ben quattro volte. Con tanti saluti alla certezza del diritto. Uno scandalo. La sua, del resto, non è la classica vox clamantis in deserto. Difatti il giudizio di Nanni è condiviso da giornalisti e intellettuali illustri. Come Vittorio Feltri, convinto della sua innocenza perché i giudici, dopo aver ammesso che il cardinale non ha rubato un centesimo, concludono che è colpevole di peculato. Come Ernesto Galli della Loggia, stupito che una certa opinione pubblica non abbia reagito al singolare modus operandi della pubblica accusa. Un pamphlet, quello di Nanni, tinto di giallo. Tra misteri e veleni.

di Paolo Armaroli

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