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Hagar l’Orribile

Hagar l’Orribile, il vichingo e il presidente usa

C’è una striscia a fumetti di “Hagar l’Orribile” sulla scrivania del presidente statunitense Joe Biden, inserita in una cornice dorata

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Hagar l’Orribile, il vichingo e il presidente usa

C’è una striscia a fumetti di “Hagar l’Orribile” sulla scrivania del presidente statunitense Joe Biden, inserita in una cornice dorata

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Hagar l’Orribile, il vichingo e il presidente usa

C’è una striscia a fumetti di “Hagar l’Orribile” sulla scrivania del presidente statunitense Joe Biden, inserita in una cornice dorata

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C’è una striscia a fumetti di “Hagar l’Orribile” sulla scrivania del presidente statunitense Joe Biden, inserita in una cornice dorata

C’è una striscia a fumetti di “Hagar l’Orribile” sulla scrivania del presidente statunitense Joe Biden, inserita in una cornice dorata. Gli è stata donata da suo padre Joseph dopo l’incidente automobilistico che nel dicembre 1972 uccise sua moglie Neilia Hunter e la figlia Naomi, di appena 13 mesi. Il futuro inquilino della Casa Bianca si stava preparando a occupare a Washington il seggio di senatore del Delaware quando venne raggiunto dalla notizia di questa tragedia, devastandolo. Così, dopo il funerale, suo padre Joseph – che era sempre stato solito rispondere ai lamenti dei suoi figli dicendo «Piccolo, dove sta scritto che la vita ti debba qualcosa?» – entrò in un negozio della catena Hallmark, per uscirne con in mano il fumetto che il presidente tiene ancora sulla scrivania.

Nella sequenza si vede l’Hagar eponimo del titolo, un vichingo sovrappeso dotato di folta barba rossa ed elmo cornuto, arrampicarsi disperato su uno scoglio in mezzo al mare. Il suo dreki (la tipica barca vichinga) sta affondando poco lontano mentre il cielo, oscurato dalle nubi, minaccia una tempesta con tuoni e pioggia. Disperato, Hagar leva le mani al cielo per chiedere «Perché me?!». «Perché no?» è la risposta dissacrante che giunge dal cielo nella vignetta successiva. Una riformulazione fumettistica ironica della massima tanto amata dal padre, la cui potente carica catartica aiutò Joe Biden a non perdere la fede. Una lezione sulla divina indifferenza del cosmo nel bilanciare meriti e sofferenze che gli è stata utile anche nel 2015, quando il figlio Beau (sopravvissuto al precedente incidente) è morto per un cancro al cervello.

Se l’attuale presidente degli Stati Uniti è fra i più famosi testimoni delle capacità terapeutiche di un’opera letteraria, sicuramente moltissime altre persone hanno tratto giovamento dalla lettura delle strisce di Hagar. All’epoca dell’incidente alla moglie e alla figlia del senatore Biden la striscia non veniva pubblicata da neanche un anno, ma era già diventata un cult. Il suo autore, Richard Arthur Allan Browne detto Dik, si era fatto le ossa sia col fumetto “Jinny Jeep” sul corpo militare femminile (disegnato durante il suo arruolamento nell’esercito) sia con la striscia “Hi and Lois” dei fratelli Walker (uno spin off, conosciuto in Italia anche come “La famiglia De’ Guai”, del più famoso “Beetle Bailey”). Da quest’ultima esperienza di lavoro sotto sceneggiatura altrui, Dik prese il gusto per la formula della striscia comica di ambiente familiare inserendo però un dettaglio di colore: sarebbe stata composta da vichinghi.

L’orribile Hagar, dall’aspetto per nulla minaccioso, è comunque un razziatore a tutti gli effetti. Depreda le sue vittime con una certa grazia, ad esempio invitandole a non scomodarsi dalle sedie quando entra in casa loro senza invito. La sua vita non è però un saccheggio continuo: questo «barbaro che lavora sodo» (com’è presentato nella prima striscia) è atteso a casa dalla moglie Helga, che imputa alle sue assenze lavorative la disobbedienza della figlia maggiore Honi (che s’innamora di bardi scapestrati) e del giovane Hamlet (avido lettore di libri e privo di qualsivoglia inclinazione guerresca). Così ogni giorno Hagar deve dividersi fra le scorrerie e i bisogni della sua famiglia, finendo col trovarsi in situazioni tanto paradossali da poter essere perfino usate da un padre per consolare il proprio figlio nel momento più buio della sua vita.

di Camillo Bosco

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